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Mafia nigeriana, chi finisce in arresto: ecco come funziona il business dei migranti

Associazione mafiosa finalizzata alla tratta di esseri umani, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, sfruttamento della prostituzione, sequestro di persona, estorsione e procurato aborto.

Sono i reati - alcuni aggravati dal cosiddetto metodo mafioso e dalla transnazionalità - contestati a vario titolo a sei cittadini nigeriani arrestati venerdì in esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip di Roma. L'operazione è stata compiuta da personale del Servizio Centrale Operativo e della Sisco di Roma e di Brescia e del Servizio per la Cooperazione di Polizia e il Reparto Prevenzione Crimine e si è svolta contemporaneamente a Roma, Brescia e in Islanda, dove alcuni degli arrestati si erano trasferiti da qualche tempo.

Attraverso le indagini sono state ricostruite le attività illecite della mafia nigeriana denominata 'Maphite', presente in Italia e in diversi stati europei. Il gruppo criminale è dedito alla tratta di esseri umani, al favoreggiamento dell’ingresso clandestino nel territorio italiano, allo sfruttamento della prostituzione, all’estorsione ed al riciclaggio di denaro.

Le vittime, anche di minore età, ignare del loro futuro e in compagnia di un accompagnatore (il cosiddetto boga), hanno affrontato un lungo viaggio, denso di violenze fisiche, psicologiche e sessuali, attraversando la Nigeria, il Niger e la Libia, da dove sono poi partite via mare, su un’imbarcazione di fortuna, per giungere a Pozzallo (Ragusa). Sempre attraverso le maglie dell’organizzazione, appena arrivate a Roma, i componenti dei 'Maphite' ponevano in essere azioni violente, con costrizioni fisiche e psicologiche per indurre le donne a prostituirsi. Nelle fasi iniziali le giovani donne, quando si rifiutavano, venivano rinchiuse in casa, private del cibo e veniva loro precluso qualsiasi contatto con i familiari in Nigeria. In un caso, una giovane ragazza, arrivata in Italia in stato di gravidanza, è stata costretta ad assumere pericolosi farmaci per l’interruzione di gravidanza tanto da rischiare la morte, al solo fine di farle esercitare l’attività di prostituzione.

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