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Corea del Nord, il viaggio decisivo di Trump in Estremo Oriente: il messaggino per Giappone e Seoul

La settimana che può sconvolgere il mondo inizierà venerdì prossimo, quando il presidente americano Donald Trump inizierà il suo attesissimo viaggio diplomatico in Estremo Oriente. Prime due tappe in Giappone e Corea del Sud, terza in Cina (e poi Vietnam e Filippine). Ovviamente a comandare l'agenda sarà la Corea del Nord e l'ombra della guerra nucleare.  Come ha ricordato sul New York Times Henry Kissinger, ex segretario di Stato americano e grande vecchio della diplomazia internazionale (fu l'uomo che avvicinò per la prima volta Washington e Pechino), la "nuclearizzazione dei Paesi minacciati dal regime di Kim è una risposta razionale e inevitabile". Come dire: l'escalation non dipende solo dai proclami bellici di Kim Jong-un e Trump (quest'ultimo frenato dai più concilianti Tillerson e Mattis), ma dall'esigenza dei Paesi più direttamente esposti alle minacce di Pyongyang, Giappone e Corea del Sud, di sapersi difendere dall'attacco. E a volte la difesa migliore, per usare un concetto sportivo, è l'attacco. Preventivo. Trump per primo non ha mai smentito questa ipotesi, probabilmente per rassicurare gli alleati di Tokyo e Seoul fino a qualche mese fa assai spaventati dal "ritiro strategico" della Casa Bianca sulle spese per la Nato. Un argomento ormai accantonato, perlomeno in quella zona caldissima del globo. E molto probabilmente, nel faccia a faccia tra qualche giorno, The Donald darà il suo sostegno al riarmo nucleare di Giappone e Corea del Sud nell'ottica di accerchiare definitivamente Kim. L'altro attore principale in questo film sull'Apocalisse atomica è, ovviamente, la Cina. E come ricorda Repubblica, il ruolo giocato da Xi Jinping è subdolo. Pubblicamente Pechino condanna i test nucleari di Kim ma sottobanco continua a foraggiare il vicino regime comunista e tenere in vita, di fatto, lo scomodo alleato. Scomodo per gli altri, ma non per la Cina che mai e poi mai vorrebbe fornire un assist agli americani. Far cadere Kim significherebbe aprire la strada a una Corea unificata e allineata con Washington. Non sia mai. Meglio un regime satellite, che possa di tanto in tanto mettere alla berlina gli Stati Uniti. Partner economico fondamentale per Pechino, ma da qui a definirlo alleato ce ne vuole. 

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