La magistratura di nuovo contro i Centri in Albania. La Corte d’Appello di Roma interviene sull’operazione orchestrata dal governo per scoraggiare l’immigrazione clandestina dopo le bocciature degli ultimi mesi. Il tutto a nemmeno quattro giorni dal primo rimpatrio eseguito dal centro albanese. Sabato scorso, infatti, il governo aveva rimpatriato un bengalese di 42 anni, in Italia dal 2009, espulso perché ritenuto socialmente pericoloso. A carico ha diversi precedenti, tra cui uno particolarmente grave per violenza domestica. Il provvedimento di espulsione era stato emesso il 25 marzo scorso dal prefetto di Palermo. Dal Cpr di Pian del Lago, in provincia di Caltanissetta, il bengalese era stato portato in Albania e da lì rimpatriato.
Ma ora i magistrati aprono una crepa della procedura studiata dal governo. Secondo i giudici, se uno straniero, trasferito nel Centro di permanenza per Rimpatri in Albania, chiede la protezione internazionale non può essere trattenuto nella struttura di Gjader e deve essere riportato in Italia. In una sentenza di otto pagine, la Corte d’Appello, in composizione monocratica, ha stabilito «l’inapplicabilità alla fattispecie in esame del Protocollo Italia-Albania», non convalidando il trattenimento.
Il caso preso in esame dai giudici capitolini riguarda un cittadino marocchino che era stato trasferito nel centro albanese l’11 aprile. L’uomo, che risulta in Italia dal 2021 e nel 2023 ha ricevuto una condanna penale, era stato espulso dalla prefettura di Napoli il 31 marzo. Nel corso della sua permanenza del Cpr lo straniero ha manifestato la volontà di presentare la richiesta di asilo. Un’iniziativa che in base alla normativa fa scattare una nuova udienza di convalida che per competenza spetta ai giudici di Roma per i richiedenti protezione internazionale. Nella sentenza il giudice sul punto afferma che «la domanda di protezione internazionale formulata sul territorio albanese, equiparato, ai soli fini del Protocollo Italia-Albania e dello svolgimento delle procedure ivi previste, a zone di frontiera o di transito deve considerarsi validamente presentata come richiesta di asilo rivolta allo Stato italiano». Nel caso specifico la «volontà di richiedere la protezione internazionale è stata manifestata durante il trattenimento in corso presso il Cpr di Gjader, dove il cittadino straniero» si legge nel documento «è stato condotto coattivamente, senza il suo consenso e senza che, durante il trasferimento, sia venuto meno il titolo di trattenimento o che vi sia stata incidenza alcuna sulla procedura alla quale lo straniero è stato sottoposto in Italia, tal che deve ritenersi che la domanda sia stata validamente presentata, nel corso della medesima procedura, dinanzi allo Stato Italiano».
Albania, dopo la diminuzione degli sbarchi premiata ancora la tenacia del governo
All’opposizione la Pasqua sta andando di traverso. Non bastava l’eco della missione della premier Meloni in ...
In sostanza, afferma il giudice, la «valida presentazione della domanda di protezione internazionale ha mutato il titolo del trattenimento del cittadino straniero, non più finalizzato all’esecuzione del suo rimpatrio, bensì allo svolgimento della domanda di asilo». Conseguentemente «non rientra più nelle categorie di soggetti individuati dal Protocollo» con Tirana e nei suoi confronti «non sono applicabili le procedure previste». Per la Corte d’Appello, dunque, il «Protocollo e la correlata legge di ratifica non possono trovare applicazione nel caso sottoposto all’esame della Corte, non essendo espressamente previsto né nel Protocollo né nella sua legge di ratifica un trattenimento del richiedente asilo in Albania nel Cpr di Gjader».