
Pakistano in galera per terrorismo riceve la protezione internazionale

La tanto desiderata protezione internazionale è, infine, arrivata poche settimane fa: ma il 32enne pakistano, che si era rivolto alle autorità italiane per vivere legalmente nel nostro Paese, non ha avuto modo di festeggiarla. Perché? Semplice: nelle stesse ore della lieta novella è stato arrestato dalla Digos su richiesta della Procura antiterrorismo di Madrid in quanto sospettato di far parte di una agguerrita cellula islamista che, in Spagna, fa proselitismo online per combattere in Medio Oriente. La storia, esemplificativa dell’ennesimo cortocircuito giuridico in tema di immigrazione, si svolge in provincia di Piacenza, dove l’uomo vive da un paio di anni. Sembra perfettamente integrato nella comunità locale tanto che riesce addirittura a trovare lavoro in una fabbrica come operaio. È educato, preciso e scrupoloso, giurano quelli che l'hanno conosciuto.
Dietro questa maschera irreprensibile, si celerebbe tuttavia una personalità malvagia e spregiudicata, accusano invece gli inquirenti iberici. Il 32enne, infatti, farebbe parte di un’associazione terroristica attiva a Madrid, specializzata nel reclutamento di giovani soldati da spedire al fronte per combattere il Grande Satana, gli Stati Uniti.
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TAGLIAGOLE
I dettagli investigativi non sono stati resi noti, ma è probabile che si tratti di una delle tante articolazioni dello Stato Islamico che avrebbe ripreso slancio, tra Siria e Iraq, per unirsi al jihad contro Israele e gli alleati occidentali: America in testa. L’operaio pakistano avrebbe ingaggiato combattenti in terra spagnola e raccolto denaro da inviare allo stato maggiore del gruppo terroristico. Del quale, emergerebbe dagli atti, si sa che userebbe la decapitazione rituale per uccidere i nemici.
Proprio come i tagliagole dell’Isis durante la stagione dell'orrore tra il 2013 e il 2016.
L’uomo è stato già interrogato dai giudici di Bologna, competente per le estradizioni, e si è difeso strenuamente. Ha dichiarato di non essere mai stato in Spagna, nell’ultimo anno, tranne che in due occasioni per prendersi cura di un vecchio zio malato. In entrambe le circostanze, però, si sarebbe limitato a fare scalo a Barcellona e a proseguire per Siviglia, dove viveva l’anziano familiare che sarebbe successivamente deceduto.
Per convincere i magistrati, la difesa dell'uomo ha esibito le buste paga e una ricostruzione dettagliata dei suoi movimenti in Italia. La decisione arriverà entro fine settimana, ma è quasi impossibile che i magistrati rigettino la richiesta di estradizione su un tema così sensibile come la lotta al terrorismo in ternazionale. Per il 32enne, dunque, si prospetta un lungo e complesso processo in Spagna. Dall’esplosione del conflitto tra Gerusalemme e Hamas l'attenzione dei servizi di sicurezza sul rischio radicalizzazione è massima.
E il nostro Paese non è immune alla minaccia. «In tale contesto, anche l’Italia è indicata quale possibile obiettivo per la sua asserita posizione filo-israeliana», scrive l’intelligence nazionale nell'ultima relazione inviata al Parlamento. Gli 007 non hanno mai smesso di «monitorare l’utilizzo della rete da parte delle principali formazioni jihadiste», incluso «lo strutturato apparato mediatico multi-lingue di Iskp», ovvero la filiale del Califfato attiva nell'Asia centrale e meridionale. «Il web si conferma (...) come uno strumento fondamentale per reclutare e incitare al compimento di atti violenti anche nel nostro Paese», si legge ancora nel dossier. Tesi confermata anche da Daniele Ruvinetti, senior advisor della fondazione Med-Or.
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PROSELITISMO
«L’ambiente digitale, per sua natura accessibile, pervasivo e spesso anonimo, ha consentito ai gruppi jihadisti radicali di aggirare i confini geografici e raggiungere individui ovunque nel mondo, inclusi giovani vulnerabili nei Paesi occidentali», spiega Ruvinetti a Libero. «Nonostante la sconfitta territoriale dello Stato Islamico in Siria e Iraq, la sua dimensione digitale non è mai stata realmente smantellata. Al contrario, è rimasta attiva come canale di ispirazione, coordinamento informale e propaganda». «Questo», conclude Ruvinetti, «ha permesso al jihadismo di evolvere, adattandosi alle nuove condizioni e proiettando la minaccia ben oltre le zone di conflitto tradizionali». Spettri che si aggirano (indisturbati) per l'Europa.
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