Cerca
Cerca
+

Immigrati irregolari, soldi in cambio del visto: chi finisce in manette

Fabio Rubini
  • a
  • a
  • a

 «La storia che stiamo per raccontarvi parla di un traffico illegale di visti d’ingresso verso l’Italia, di funzionari corrotti, di criminalità organizzata e di un servitore dello Stato che dovendo scegliere tra intascarsi un bel gruzzolo, apparentemente senza correre rischi, o denunciare il tutto alle autorità, mettendo a repentaglio la propria incolumità, ha optato per quest’ultima». Iniziava così l’inchiesta che Libero ha condotto tra il luglio e l’agosto del 2023.

Otto puntate basate sulla denuncia del deputato di Fratelli d’Italia Andrea Di Giuseppe, che era stato avvicinato da alcune persone che, in cambio di aiutini per facilitare l’ottenimento di visti d’ingresso in Italia, gli avevano offerto una montagna di denaro. Di Giuseppe aveva deciso di denunciare tutto alle autorità e da li è partita l’inchiesta che ieri ha portato all’arresto di cinque persone: tre bengalesi e due italiani, entrambi dipendenti del ministero degli Esteri presso l’ufficio visti dell’ambasciata del Bangladesh.

 

 

 

L’ordinanza della Procura di Roma, firmata dal gip Rosalba Liso, ricostruisce la vicenda. A contattare Di Giuseppe sarebbe stato I.N. bengalese residente a Roma, dove è titolare di un ristorante. È lui che avrebbe proposto somme di denaro in cambio di una mano ad ammorbidire gli ingranaggi diplomatici e accreditare presso l’ambasciata italiana di Dhaka il connazionale K.S. Il terzo bengalese coinvolto sarebbe P.B.M. l’imprenditore che avrebbe segnalato i nomi ai funzionari dell’ambasciata italiana e che avrebbe pagato gli stessi per il servizio offerto. Poi ci sono i due italiani N.M. e R.A. Il primo sarebbe stato punto di riferimento della banda criminale fino al suo trasferimento in Turchia. Il secondo è il funzionario che ha preso il suo posto ed è quello sul quale Di Giuseppe avrebbe dovuto intervenire.

Le indagini durate per oltre un anno tra intercettazioni, registrazioni fatte dal deputato di Fdi e consegnate agli inquirenti e l’attività investigativa sui documenti d’ingresso dal Bangladesh, hanno portato all’ordinanza di ieri, eseguita dai finanzieri del comando provinciale di Roma, che ha decretato l’arresto in carcere per I.N. e P.B.H. e gli arresti domiciliari per gli altri tre indagati.

 

 

 

L’inchiesta, però, rischia di essere solo all’inizio. Per ottenere i visti, infatti, gli indagati avrebbero coinvolto alcuni titolari di società italiane che, dietro compenso, avrebbero assunto fittiziamente i titolari dei visti, al solo fine di fornire la documentazione necessaria ad ottener l’ingresso in Italia come da regolamento del decreto flussi.

«Gli arresti di questa mattina nascono dalle mie denunce di due anni fa - commenta Andrea Di Giuseppe -. Guardia di finanza e magistratura hanno fatto un lavoro eccelso. Un grazie anche alla Farnesina per la collaborazione». E ancora: «Questo è solo l’inizio, il lavoro investigativo sta procedendo e andrà a fondo. Tutto quello che ho denunciato sta avendo conferma; il governo e Giorgia Meloni si sono spesi molto per questa battaglia e i risultati si vedono. Questa tratta vergognosa di esseri umani - chiosa il deputato di Fdi - ha anche risvolti di sicurezza nazionale da non sottovalutare. Con questi visti possono entrare senza controllo in Europa e in Italia criminali e terroristi. Io e Fratelli d’Italia non ci fermeremo per bloccare questo scempio andato avanti per decenni senza che nessuna facesse qualcosa». Poi a Libero aggiunge: «Ad indignarmi maggiormente è il coinvolgimento di quelli che dovrebbero essere “servitori dello Stato” e che, secondo me, proprio per questo dovrebbero avere una pena doppia a parità di reati e sentenze». Andrea Di Giuseppe dopo la denuncia e un paio di incontri poco edificanti, vive sotto scorta e a metà novembre nella sua azienda in Florida è stata trovata da un suo dipendente una pipe-bomb posta nella stanza vicina al suo ufficio.

A seguito della nostra inchiesta la Farnesina si mosse e il vicepremier Antonio Tajani non solo incrementò i controlli che già erano in essere, ma allestì una task force per occuparsi in maniera specifica della questione visti. Per questo, ad arresti avvenuti, il vicepremier scrive su X: «Ringrazio l’ispettorato e la task force che ho istituito al ministero degli Esteri per il lavoro di contrasto alla corruzione del rilascio dei visti. Le ispezioni fatte nei nostri consolati, in tutto il mondo, stanno dando i loro frutti. Ogni attività illecita, anche sulla pelle dei bisognosi, sarà fermata». E il lavoro fatto da Tajani e dalla Farnesina è stato davvero imponente: nell’ultimo biennio sono state effettuate 136 visite ispettive.

Nel 2023 sono state 67 (16 in Europa, 22 nelle Americhe, 11 in Africa e 18 in Asia e Oceania), nel 2024 sono state 69 (16 in Europa, 22 nelle Americhe, 9 in Africa e 22 in Asia e Oceania). I principali rilievi emersi dalle ispezioni hanno riguardato i servizi consolari (rilascio visti e riconoscimento della cittadinanza jure sanguinis) e quelli di amministrazione e contabilità. Per quanto riguarda i i reati più ricorrenti sono quelli di corruzione, peculato e truffa. 

Dai blog