Migranti in Albania, la mossa della Ue che può stroncare le toghe rosse
Premessa doverosa: siamo sufficientemente scettici per distinguere bene un annuncio, anzi il mero annuncio di una buona intenzione, da una realizzazione effettiva. E dunque le parole pronunciate ieri da Ursula von der Leyen vanno prese con il classico beneficio di inventario. E tuttavia attenzione: si tratta esattamente di ciò che noi di Libero auspicavamo, e anche questo va onestamente registrato.
L’obiettivo sintetizzo – sarebbe quello, entro marzo, quindi in 100 giorni, di arrivare a una comune definizione europea (condivisa dalle 27 nazioni Ue) del concetto di “paese sicuro” al fine dei rimpatri degli immigrati. Non solo: nell’impegno della Presidente della Commissione c’è anche il tema dei paesi terzi dove le domande e le posizioni potrebbero essere esaminate nel frattempo (il modello Albania, per capirci).
Comprendete bene che, in caso positivo, se cioè alle parole europee seguiranno i fatti, potrebbe finire una volta per tutte la “festa immigrazionista” delle procure italiane, ovvero la pretesa (disapplicando o comunque neutralizzando i provvedimenti del governo) di subordinare alla discrezionalità di procure e tribunali l’effettiva linea politica dell’Italia in materia di immigrazione.
La recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Ue è stata certamente forzata e distorta dalla magistratura italiana, che – come Libero ha ampiamente dimostrato – da mesi era pronta a fare il tiro al bersaglio sulle norme del governo Meloni. Ma quella sentenza europea e le decisioni giudiziarie italiane che ad essa si sono agganciate portano comunque con sé un’affermazione eversiva dal punto di vista della separazione dei poteri: e cioè l’assegnazione al giudice nazionale della possibilità di disapplicare le classificazioni relative ai paesi sicuri o insicuri qualora il giudice non le ritenga corrispondenti ai principi fissati dalla Corte stessa.
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Scusate la brutalità: ma siamo impazziti? Vogliamo davvero tollerare che in sede di “giustizia europea” (o di interpretazione giudiziaria italiana più o meno forzata di quella sentenza) si assegni a un giudice una funzione del tutto arbitraria-discrezionale-politica? Per questo adesso servirebbe come il pane un elenco di paesi sicuri redatto in sede Ue. A quel punto sarebbe ben difficile per una singola procura italiana scatenare una guerra santa contro il governo Meloni: come potrebbero contestare un elenco di paesi stilato non a Roma ma a livello europeo e con l’accordo anche delle nazioni guidate da governi di sinistra?
Amici lettori, la posta in gioco è altissima. Sinistra e magistrati militanti hanno fatto di tutto per ostacolare il nostro governo rispetto al piano albanese, anche sapendo di giocare una partita perdente sul piano del consenso, dal loro punto di vista. Ogni cittadino vede infatti che il governo – bene o male – sta provando ad arginare l’immigrazione clandestina, mentre opposizioni e giudici giocano allo sfascio, rischiando di spalancare le nostre frontiere.
Occhio però: saranno pur disperati e senza consenso, ma puntano a far venire giù tutto. L’obiettivo è infatti quello di alzare il tiro, mettendo nel mirino la questione delle questioni, il cuore del programma di governo, un punto cardine del rapporto tra centrodestra ed elettori. Per un verso, killerando per via giudiziaria le norme volute dal governo; e per altro verso, venerdì, con l’alea giudiziaria che incombe sulla testa di Matteo Salvini. I bersagli sono chiari: il governo, la maggioranza, i cittadini che non votano “bene”.
Ecco perché la battaglia decisiva si combatterà non solo a Roma, ma anche e soprattutto a Bruxelles. Se per una volta Ursula von der Leyen mantenesse la parola data ieri, si tratterebbe di un risultato letteralmente enorme. E allora speriamo, spingiamo, vigiliamo