Egiziano, clandestino e arrestato per molestie: impossibile rimpatriare gli stupratori
Quello che andiamo a raccontarvi è un caso scuola che fa capire come l’ostracismo di una parte della magistratura verso le politiche di contrasto all’immigrazione irregolare, potrebbe causare danni incommensurabili al nostro Paese.
Siamo a Reggio Emilia nel marzo 2024. Una barista sta aprendo il suo locale quando viene aggredita alle spalle presumibilmente da un 22enne egiziano, irregolarmente in Italia e con precedenti per droga, che tenta di rubarle i soldi della cassa. La donna reagisce e l’uomo gli punta il coltello alla gola e abusa sessualmente di lei. Poi, forse disturbato dalle urla della donna, scappa. La barista denuncia l’accaduto e le indagini portano a identificare il 22enne. Il pm ne chiede l’arresto visto la gravità dei reati. A maggio il Gip di Reggio Emilia, giudicando carente il quadro probatorio, respinge la richiesta di arresto lo rilascia.
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Subito dopo il pm deposita il ricorso presso il tribunale del riesame. Il clandestino il 16 maggio - cioè dopo il reato che gli viene attribuito - presenta domanda di asilo, che viene rigettata. Il 2 settembre l’egiziano presenta ricorso contro il rigetto. In tutto questo, grazie alla sola richiesta d’asilo, l’uomo diventa un “richiedente regolarmente presente sul territorio nazionale”. Cioè non è più un clandestino, nonostante nessuno sappia dire come è entrato in Italia. Uno status che potrà mantenere fino all’esame del ricorso.
L’ultima puntata è di ieri: il Gip del tribunale del riesame di Bologna, accoglie il ricorso del pm di Reggio Emilia dando l’ok per l’arresto dell’uomo, che viene tradotto in carcere. Ultima annotazione: durante le indagini le forze dell’ordine si accorgono, visionando le telecamere di sicurezza, che lo stesso 22enne si sarebbe reso protagonista, sempre a Reggio, di un’altra aggressione con tanto di accoltellamento.
Ora, stando agli ultimi pronunciamenti della magistratura, che considera l’Egitto un Paese non sicuro, il 22enne che era in Italia senza permesso di soggiorno non avrebbe potuto essere messo su un aereo - o su una nave e rimpatriato nel suo Paese. Stesso discorso vale se il ragazzo dovesse risultare colpevole e venire condannato, non potrebbe scontare la pena nelle carceri patrie.
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Casi come quello che vi abbiamo raccontato, nelle procure e nei tribunali, sono all’ordine del giorno. Ecco perché la guerra che una parte della magistratura ha deciso di fare al governo Meloni rischia di essere pericolosissima per la tenuta della sicurezza del nostro Paese. Tutto nasce con il protocollo che Meloni sigla col premier Edi Rama per l’apertura in Albania di due centri di detenzione e rimpatrio per immigrati clandestini. Fin da subito la sinistra si mette di traverso- incurante del fatto che il premier albanese sia un socialista e che molti Paesi europei guardano con interesse a questa soluzione -, il governo italiano, però, va avanti. I centri aprono la scorsa settimana e i primi sedici clandestini che arrivano in Albania sono di nazionalità bengalese ed egiziana. È a questo punto che entra in gioco la magistratura. Il tribunale di Roma con una sentenza molto discussa (e discutibile), non convalida il provvedimento di trattenimento varato dalla questura di della capitale. Nelle motivazioni della sentenza i giudici scrivono che «i due Paesi da cui provengono i migranti, Bangladesh ed Egitto, non sono sicuri anche alla luce della sentenza della Corte di Giustizia europea». E dunque, anche se gli accertamenti dovessero confermare l’ingresso irregolare in Italia, queste persone non potrebbero essere rimpatriate nei Paesi d’origine.
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Ora non ci vuole la sfera di cristallo per capire che se questa sentenza dovesse fare giurisprudenza sarebbe praticamente impossibile rimpatriare quei clandestini. Compresi quelli che stando sul nostro territorio dovessero macchiarsi di crimini gravi (o meno gravi) come quello di violenza sessuale nei confronti di una donna. Non a caso la reazione del governo italiana per scongiurare questa evenienza è stata immediata, con la presentazione di un ricorso.