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Il piano dei giudici per scaricarci i migranti: lo stop deciso dai pm prima della sentenza Ue

Tommaso Montesano
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La motovedetta della Guardia Costiera “Visalli” è entrata nel porto di Bari, al terminal destinato alle crociere, nel primo pomeriggio di ieri. Provenienza: la frazione albanese di Shëngjin. A bordo, i 12 migranti - sette bengalesi e cinque egiziani- sulla cui sorte da venerdì scorso è in atto un durissimo braccio di ferro tra governo e magistratura dopo la decisione della XVIII sezione civile del tribunale di Roma di non convalidare il loro fermo. I richiedenti asilo, la cui domanda di protezione territoriale è stata respinta dalle commissioni territoriali del ministero dell’Interno, sono stati trasferiti nel centro di accoglienza di Bari Palese: hanno 14 giorni di tempo per presentare ricorso.

Ma questo è solo un fronte della vicenda. L’altro, più caldo, è quello politico. La presidente del Consiglio, mentre l’opposizione esultava per la pronuncia delle toghe, ha subito annunciato una «soluzione» del governo a quella che è stata bollata come un’invasione di campo. Del resto a Palazzo Chigi non c’è alcuna intenzione di ingranare la retromarcia sul “modello albanese”, ovvero l’esternalizzazione - in Paesi extra Ue - degli hub. Al punto che un nuovo gruppo di migranti, tra mercoledì e giovedì, potrebbe essere trasferito negli hotspot albanesi. Per quella data, sarà realtà la «soluzione» di cui ha parlato Meloni. È stato convocato per domani alle ore 18,00, infatti, il Consiglio dei ministri incaricato di rispondere alla mossa della magistratura.

All’ordine del giorno, un decreto legge incaricato di far compiere un salto di qualità, dal punto di vista normativo, a quella lista di “Paesi sicuri” di fatto inficiata dalle toghe romane laddove - in virtù della sentenza della Corte di giustizia della Ue del 4 ottobre Egitto e Bangladesh sono invece diventati “non sicuri” con tutto ciò che ne è seguito. Ovvero l’impossibilità di agire nei confronti dei migranti con la procedura accelerata e, quindi, di disporre il loro rientro in Italia per seguire il normale iter. 

 

GUERRA DI “FONTI”
L’Italia ha inserito i due Paesi di provenienza dei migranti portati in Albania nella lista degli Stati “sicuri” con un decreto interministeriale (Esteri, Interno, Giustizia). Il primo passo di Palazzo Chigi per ribattere ai magistrati della «Sezione specializzata in materia di diritti della persona e immigrazione» sarà quello di far diventare “norma primaria”, ovvero di legge, l’elenco dei 22 Paesi che al momento proviene, invece, da una fonte di “secondo livello” (il decreto ministeriale). Il decreto legge avrebbe un doppio vantaggio: sarebbe subito applicabile e, in caso di controversia, il conflitto finirebbe davanti alla Corte costituzionale. Questo non significa, dunque, lista al riparo dalle future controversie, ma nel frattempo sarebbe operativa.

A Palazzo Chigi, infatti, sono convinti che lo scontro con le toghe politicamente più orientate sia appena agli inizi. E che il decreto legge sia solo un capitolo di quella che si configura a tutti gli effetti come un’escalation a colpi di diritto. Perché la “norma primaria” del governo dovrebbe comunque continuare a fare i conti con la normativa comunitaria. «I vincoli europei non si possono ignorare», ha spiegato a Repubblica il giurista Luca Masera, esperto di diritto dell’immigrazione. Nel senso: forti della Corte di giustizia Ue, i magistrati italiani potrebbero decidere caso per caso quali Paesi siano “sicuri” oppure no, avendo le spalle coperte dalla pronuncia comunitaria. Insomma, ben che vada si aprirebbe una lunga stagione di battaglie legali, visto che è impensabile che i tribunali italiani se ne stiano con le mani in mano anche dopo il varo del decreto, come lascia intendere il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia: «L’applicazione delle norme sarà cogente anche con nuove soluzioni».

LE “COINCIDENZE”
Del resto la successione degli eventi dopo la pubblicazione della sentenza della Corte Ue che ha rivoluzionato la partita sull’immigrazione stabilendo che i criteri che consentono di designare un Paese terzo come di origine sicura devono essere rispettati in tutto il suo territorio - sono lì a dimostrarlo. La pronuncia della Corte del Lussemburgo è del 4 ottobre e appena sei giorni dopo è stata applicata da un tribunale italiano, a Palermo, liberando cinque tunisini sbarcati illegalmente in Italia. Particolare significativo: ancora oggi la sentenza è disponibile in tre lingue- francese, ceco ed estone - e non italiano. Eppure a tempo di record un nostro tribunale l’ha tradotta e immeditamente applicata.

Poi ci sono le precedenti esternazioni di uno dei giudici che ha firmato il provvedimento che ha fatto infuriare l’esecutivo: Silvia Albano, che è anche presidente di Magistratura democratica, la corrente più progressista dell’Associazione nazionale magistrati. Ebbene, Albano aveva ampiamente annunciato la sua ostilità alla lista dei Paesi sicuri stilata dall’Italia in un articolo sull’Unità del 9 maggio scorso. Titolo: «Quali sono i paesi di origine sicuri e perché Roma ne ha inventati di nuovi: la strategia per attuare il patto con l’Albania». Ben prima della sentenza europea, Albano dettava la linea ai suoi colleghi: «I giudici dovranno verificare se il Paese designato come sicuro con decreto ministeriale possa essere effettivamente considerato tale in base a quanto stabilito dalla legge».

 

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