Immigrazione, tolta la protezione a 305 truffatori: cosa avevano fatto
Per capire cosa sta succedendo attorno agli stranieri rifugiati in Italia, qual è il motivo per cui l’ex ministro ulivi sta Livia Turco sostiene che «il diritto d’asilo è di fatto sospeso» e Repubblica strilla in prima pagina che il governo Meloni ha introdotto il «divieto di asilo», occorre rispondere a una domanda. Uno straniero che sbarca in Italia, chiede asilo sostenendo davanti alle autorità di essere «perseguitato» nel proprio Paese «per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche» (questa la condizione prevista dalla Convenzione di Ginevra), e dopo avere ottenuto lo status di rifugiato o un’altra forma di protezione internazionale se ne torna tranquillo nel Paese d’origine, per trovare i parenti o trascorrere le ferie, cosa è? Se la risposta - al netto dei casi eccezionali che sono sempre possibili - è «truffatore», ciò che sta accadendo è molto più chiaro.
Al Viminale hanno infatti aperto la caccia ai permessi da “finto” rifugiato, ottenuti sostenendo il falso. Dal primo gennaio a fine luglio, di questi “turisti della protezione internazionale” ne sono stati scoperti 305, e per loro è scattata la cessazione del permesso di soggiorno. È un record: nei primi sette mesi del 2023 i sottoposti allo stesso procedimento erano stati 29, l’incremento è del 952% e siamo appena agli inizi.
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LA CONVENZIONE DI GINEVRA
Non è un atteggiamento anomalo o estremo da parte del ministero dell’Interno: è la stessa Convenzione di Ginevra a prevedere che si faccia così, quando lo straniero dimostra col proprio comportamento di volersi avvalere di nuovo della protezione dello Stato d’origine. Il problema, semmai, è che finora questo è stato fatto poco e male. Tutti i casi di cessazione del 2024, a quanto si è appreso, sono dovuti proprio a controlli dai quali è emerso che il titolare del permesso d’asilo è tornato temporaneamente nel Paese da cui, a suo dire, era stato costretto a fuggire, e nel quale non sarebbe potuto rientrare.
Oltre alla cessazione, l’altro strumento con cui uno Stato può decretare la fine della protezione internazionale è la revoca. È prevista dal diritto internazionale, ad esempio, quando il beneficiario commette reati particolarmente gravi e costituisce un pericolo per la sicurezza del Paese che lo ospita. Anche in questo caso i numeri del 2024 sono in forte aumento: dal primo gennaio al 31 luglio la protezione concessa dallo Stato italiano è stata revocata a 145 stranieri, oltre il doppio rispetto all’analogo periodo del 2023.
Molto altro è previsto che accada nei prossimi mesi. In tutto, infatti, sono stati avviati 1.535 procedimenti di cessazione o revoca (un anno fa, di questi tempi, se ne contavano 89). Il compito di decidere l’esito di queste pratiche spetta alla Commissione nazionale per il diritto d’asilo, alla quale partecipa come consulente un rappresentante dell’Unhcr, l’agenzia Onu per i rifugiati. Un procedimento “garantista” che deve essere rigorosamente motivato ed inizia con una lettera al beneficiario della protezione, il quale può difendere le proprie ragioni con una memoria scritta o in un’audizione. In parallelo, il ministero dell’Interno sta lavorando all’ampliamento del sistema di accoglienza per gli immigrati: un anno fa garantiva 89.138 posti, oggi ne conta 101.741.
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CAMBIO DI PASSO
Su una cosa, comunque, la sinistra ha ragione: gli uffici di Matteo Piantedosi hanno adottato un metodo di lavoro molto diverso rispetto ai governi passati. E i numeri che si vedono sono i risultati di questo cambiamento. Le pratiche di cessazione non erano ritenute prioritarie e si erano accumulate negli anni. Ora il Viminale si è impegnato a smaltire gli arretrati e ad andare a fondo su ogni caso, aumentando gli accertamenti sulle domande di protezione internazionale già accolte, per scoprire eventuali truffe e garantire serietà nell’applicazione del diritto d’asilo.
L’accelerazione e l’incremento dei controlli riguardano anche la lavorazione delle nuove domande d’asilo. È aumentato di molto il numero delle richieste esaminate: tra gennaio e luglio sono state 51.797, il 61% in più rispetto agli stessi mesi del 2023. È diminuita, però, la quota di quelle che terminano con la concessione della protezione più importante, lo status di rifugiato: un anno fa furono il 9,3%, nel 2024 sono il 6,8%. Ed è aumentato il numero dei dinieghi: il 52% nel 2023, il 62% nell’anno in corso.
La posizione della sinistra è ben riassunta da Livia Turco, oggi presidente della fondazione Nilde Iotti e in passato ministro per la Solidarietà sociale del governo Prodi: insieme a Giorgio Napolitano, firmò la legge del 1998 sull’immigrazione. Secondo lei, l’aumento dei dinieghi alla concessione del diritto d’asilo e delle revoche della protezione internazionale deve essere motivo di «vergogna». Anche quando, evidentemente, lo status di rifugiato viene usato da chi non lo merita e se ne torna da turista nel Paese d’origine.
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