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Ue, la sentenza: "Sussidi a tutti i migranti", vogliono costringerci a mantenere chi sbarca

Alessandro Gonzato
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Ci risiamo. Stavolta la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che per accedere alle prestazioni e all’assistenza sociale, ad esempio al vecchio reddito di cittadinanza, bastano 5 anni di soggiorno ininterrotto in qualsiasi Stato membro, e non più 10 (di cui gli ultimi 2 consecutivi) come prevede l’Italia. Soldi un po’ per tutti, dunque, ma quei tutti sono solo immigrati. Entriamo nel dettaglio. La Corte Ue si è pronunciata sul caso di due extracomunitarie le quali avevano attestato falsamente di possedere i requisiti per la concessione del sussidio grillino, compreso il requisito della residenza decennale. Le due avrebbero percepito indebitamente una somma complessiva di 6.700 euro. Il tribunale di Napoli aveva chiesto alla Corte di giustizia Ue se il requisito di residenza fosse conforme alla direttiva sui cittadini di Paesi terzi: i giudici lussemburghesi hanno risposto che «il requisito di residenza costituisce una discriminazione indiretta nei confronti dei cittadini extracomunitari che siano soggiornanti di lungo periodo».

TRUFFATORI

La Corte Ue non risolve la controversia interna al Paese membro, compito a cui deve invece assolvere il giudice nazionale in conformità alla pronuncia dei giudici europei. Uscendo dal tecnicismo, c’è un altro aspetto fondamentale, e preoccupante, nell’indicazione della Corte di giustizia: al singolo Stato, in questo caso all’Italia, è vietato sanzionare penalmente una falsa dichiarazione sulla sussistenza dei requisiti di residenza. Il che significa che l’extracomunitario che mentirà per tentare di accedere a un sussidio rischierà poco o nulla. «La verità», dice a Libero Carlo Fidanza, europarlamentare di Fdi, «è che la Corte con queste continue sentenze sta interpretando i trattati per far venire meno ogni differenza tra cittadino e non cittadino, contro ogni principio di sovranità. Prima valeva solo per i cittadini comunitari, ora anche per gli extracomunitari e a prescindere dal loro periodo di permanenza e livello di integrazione. È un problema per tutti gli Stati membri», sottolinea Fidanza, «perché il costo del welfare per gli stranieri sta diventando insostenibile». Ma sì: avanti, c’è posto.

 

 

 

La decisione dei giudici segue di pochi giorni quella della Commissione europea, presieduta da Ursula von der Leyen, la quale ha annunciato che farà ricorso contro l’Italia, sempre alla Corte Ue, in merito all’assegno unico e universale per i figli a carico, sussidio per le famiglie attivo da marzo 2022. Per la Commissione l’assegno violerebbe i diritti dei cittadini di altri Stati membri che lavorano in Italia. Anche qui l’accusa è di «discriminazione», viene contestato l’obbligo per il genitore di risiedere in Italia da almeno due anni, e per i figli di risiedere sempre in Italia. Secondo la Commissione questa condizione penalizzerebbe i lavoratori di altri Paesi dell’Unione che si sono trasferiti da poco in Italia, che hanno lasciato altrove la propria famiglia o che lavorano in Italia pur vivendo in un altro Paese. La ratio invece è di evitare frodi o peggio, finanziamenti all’immigrazione clandestina. Comunque la grana era nell’aria: la Commissione Ursula minaccia l’Italia da oltre un anno, e Giorgia Meloni aveva già definito «folli» le ragioni del ricorso. La sintesi è che estendere il sussidio lo renderebbe economicamente insostenibile. Alla Commissione Ue non interessa.

CASE A TUTTI

C’è anche un’altra sentenza che continua a far discutere: la Cassazione nel 2003 ha sancito che non è reato affittare casa agli immigrati irregolari, decisione confermata dal pronunciamento del 2013. Il fulcro è che chi affitta a extracomunitari privi del permesso di soggiorno non commette reato purché non applichi tariffe più elevate di quelle applicate agli immigrati regolari, eventualità che costituisce un “dolo eventuale”, in questo caso perseguibile. Dalla suprema Corte, in riferimento al caso di un ivoriano, nel 2019 è arrivata anche la sentenza secondo cui prima di negare lo status a chi dichiara di essere omosessuale si deve accertare se nei Paesi d’origine non solo non ci siano leggi discriminatorie, ma anche che le autorità diano “adeguata tutela”. Secondo Open Migration sono 10mila gli stranieri che ogni anno presentano domanda di protezione in Europa con questa motivazione.

 

 

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