Lady Soumahoro scarica tutto sulla madre: la mossa di fronte al pm
I beni di lusso? La moglie di Soumahoro dice che non li ha comprati lei. E chi allora? «Io non mi sono mai appropriata di somme della cooperativa né le ho utilizzate per acquisti di borsette o beni superflui», ha detto ieri Liliane Murekatete al gip di Latina. Da lunedì scorso lei e la madre, Marie Terese Mukamitsindo, sono agli arresti domiciliari accusate a vario titolo di frode in pubbliche forniture, bancarotta fraudolenta patrimoniale e autoriciclaggio. Per la procura soldi pubblici chele cooperative presiedute dalla suocera di Soumahoro dovevano usare per l’accoglienza degli immigrati e invece sarebbero stati usati per fini meno umanitari.
Murekatete, che figurava in posizioni di rilievo nelle coop, è difesa dall’avvocato Lorenzo Borrè: «La mia assistita ha puntualizzato alcuni dati, le pretese distrazioni di somme non sono mai state acquisite da lei. I due bonifici da 35mila euro non sono mai stati accreditati, ci sono poi 15mila euro per l’acquisto di cibo e spese per le strutture e per l’assistenza ai migranti e il resto delle spese, poco meno di 8mila euro, per il contratto di locazione di Bruxelles».
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Al termine dell’atto istruttorio il giudice si è riservato di decidere: «Se saranno confermati i domiciliari ci rivolgeremo al Riesame di Roma», ha annuciato l’avvocato. Murekatete non ha aggiunto nulla. Anche la madre si è avvalsa della facoltà di non rispondere. Se non è stata la figlia, dicevamo, a spendere in negozi di lusso, ristoranti e hotel - esborsi contestati dai pm - deve averlo fatto qualcun altro, e gli altri tre indagati sono la madre, appunto, il fratello di Liliane (Richard Mutanga) a lungo in Ruanda e il fratellastro, Michel Rukundo, per anni in Australia. Ieri mattina si è svolta anche l’udienza preliminare sul primo filone dell’indagine, che riguarda presunti reati fiscali: il gup si è riservato di decidere sull’inammissibilità di costituzione delle parti civili chiesta dalle difese e ha rinviato l’udienza al 17 novembre.
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Fuori dal tribunale la protesta di alcuni lavoratori, ormai ex, delle cooperative. Con loro Gianfranco Cartisano, del sindacato Uiltucs di Latina: «Questo scandalo sull’accoglienza, oggi possiamo dirlo, se non lo denunciavano i tanti lavoratori non sarebbe mai emerso con queste dimensioni. Ora abbiamo un quadro abbastanza chiaro: da anni il lavoro, e di conseguenza i lavoratori, erano considerati dai rappresentanti di Karibu e Aid strumenti per il loro profitto personale. Dopo l’ordinanza abbiamo capito che per loro e lady Soumahoro le risorse economiche delle coop erano sempre disponibili. Per i lavoratori non c’erano mai soldi. Confidiamo nel lavoro degli inquirenti».
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