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Pirati a caccia di migranti, orrore nel Mediterraneo

Massimo Sanvito
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Sfrontati e spietati. Violenti e assetati di guadagni facili. Rapidi e cattivi. Solcano il Mediterraneo a caccia di barchini carichi di profughi (o presunti tali) sud-sahariani e asiatici: facili prede da ripulire da cima a fondo. Pirati travestiti da pescatori, che partono dalle coste della Tunisia e setacciano il Canale di Sicilia con un solo obiettivo: derubare, lame in pugno, i disperati che vogliono raggiungere le coste italiane. E dunque l’indagine coordinata dalla Procura della Repubblica di Agrigento e portata a termine da Polizia, Guardia di Finanza e Guardia Costiera di Lampedusa - che ha visto l’arresto, convalidato dal gip, del comandante e dei tre membri dell’equipaggio di un motopesca tunisino, l’Assyl Salah, poi sequestrato - apre un nuovo fronte sulle traversate dei migranti. Oltre agli scafisti c’è un pericolo in più: per la prima volta la rotta migratoria del Mediterraneo centrale si trova a dover fare i conti con la pirateria. Un reato previsto sia dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare che dal Codice della Navigazione italiano. Le pene? Fino a vent’anni di carcere.

DIVERSI EPISODI
Era il 23 luglio quando una carretta del mare con a bordo una quarantina di persone naufragò in acque maltesi: cinque furono i dispersi, tra cui un bambino, e 37, oltre al cadavere di una 35enne ivoriana, i migranti originari di Costa d’Avorio, Gambia, Guinea e Camerun portati a Lampedusa. Sedici di loro finirono dritti nel poliambulatorio dell’isola per ustioni e ipotermia.

Raccontarono di essere partiti da Sfax (Tunisia) la sera prima, per poi finire in acqua dopo essere stati speronati da un equipaggio di un’altra imbarcazione che aveva tentato di rubargli il motore. Altro che pescherecci... Diversi tunisini hanno svestito i panni dei cacciatori di tonni e merluzzi per indossare quelli di predoni di profughi.

Un’attività ben più remunerativa, considerato che ogni migrante in fuga consegna migliaia di euro agli scafisti per farsi portare in Europa. E i furti di motori, poi rivenduti agli stessi scafisti, sono un guadagno assicurato. È una catena ben collaudata. I barchini- fatta eccezione per quelli che trasportano connazionali - vengono agganciati dai pirati tunisini e spediti alla deriva. Ad aprile, giusto per farsi un’idea, una bambina di quattro anni annegò dopo che l’imbarcazione sulla quale viaggiava fu abbordata da un peschereccio che aveva tentato di strapparle il motore. E anche il mese prima, a marzo, andò in scena lo stesso modus operandi: una barca lunga sette metri carica di 42 persone finì in malora perché spogliata del suo propulsore. Così, vista la gravità della situazione, in campo ci sono già nuovi protocolli investigativi. La Procura di Agrigento, infatti, ha subito avviato un tavolo tecnico insieme al Comando Generale delle Capitanerie di Porto (Guardia Costiera), al Comparto Aeronavale della Guardia di Finanza e al mondo dell’Accademia universitaria. Le informazioni acquisite vengono condivise con gli altri Paesi coinvolti attraverso i canali Interpol. Il dossier sulla pirateria marittima è in cima anche alle priorità del Ministero dell’Interno guidato da Matteo Piantedosi.

CONFERME
«L’arresto di un comandante di un motopesca tunisino e i tre componenti dell’equipaggio accusati di pirateria ai danni di alcuni gruppi di migranti in difficoltà è la conferma di quanto sia fondamentale contrastare l’immigrazione irregolare anche a tutela degli stessi migranti che finiscono nelle mani di criminali senza scrupoli che ne mettono gravemente a rischio la vita», ha spiegato il ministro Piantedosi. Suona forte l’allarme ma il governo di Centrodestra non sta certo a guardare: «Il gravissimo episodio che emerge dalle indagini testimonia la pericolosità della rotta del Mediterraneo centrale e l’importanza dell’azione intrapresa da questo governo per contrastare i criminali che cercano di arricchirsi in ogni modo, anche garantendo un adeguato supporto operativo ai Paesi di partenza dei barchini», ha sottolineato Piantedosi. Con un appello ai partner internazionali: «Il dovere di tutti gli Stati di agire insieme per sconfiggere questa piaga mondiale che riguarda i Paesi di origine, transito e destinazione delle vittime, per la maggior parte donne e bambini». 

 

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