Klara Murnau, fucilata contro gli stranieri in Italia: "Le arabe si svestono e..."
Spesso, la mattina presto all’inizio dell’estate, mi sedevo a Piazza di Spagna fuori dall’ottica Calò, bellissimo negozio nel cuore di Roma in cui lavoravo all’epoca dell’Università, per osservare i turisti rimanere abbacinati dallo splendore della Capitale. Gli addetti alle pulizie di strada facevano il loro giro, salutavano gentili e lasciavano cerchi umidi sulle pietre della pavimentazione, mentre nell’aria il profumo di “cornetti” alla crema si mischiava all’odore del suolo bagnato. Quando la folla cominciava ad arrivare – orde di individui provenienti dal Giappone, Cina, Germania, Spagna e America, ad esempio – si muovevano ansiosi e scomposti come branchi di pesci pronti ad andare alla deriva. Le arabe si liberavano delle loro tuniche, rivelando minigonne e abiti lussuosi. Estremamente lussuosi. E sì, le ho viste davvero svestirsi felici e rilassate, senza scattarsi alcuna foto, però. Anche gli americani che come sappiamo tutti (e soprattutto ovunque) di libertà si dichiarano esperti, respiravano a pieni polmoni quella sensazione così diversa dalla loro, quella appunto di poter liberamente insozzare ovunque passassero, senza per questo pagarne le conseguenze. Come quando hanno danneggiato (diverse volte, diversi di loro) la grande scalinata, dichiarando alla fine che, «tanto in Italia non ti fanno niente». Più di una volta ce lo dissero anche in faccia, a me e al grande Bruno, figura mitologica del centro e mio capo dell’epoca, che calmava l’impeto di mandare a quel paese -il loro- il turista di turno strafottente. L’implicazione è chiara: l’Italia è arretrata e buontempona, incapace di proteggere i suoi tesori culturali.
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EPICENTRO
Nella sua storia “Gli italiani”, Luigi Barzini scrive che uno dei piaceri fondamentali che l’Italia offre ai visitatori è «quello di sentirsi moralmente superiore ai nativi». A volte, da residente all’estero e per destino avida viaggiatrice, ho provato anch’io questo piacere. L’inefficienza della burocrazia, che fosse rinnovare un documento o sistemare una strada, è stata spesso mirifica da vedere. Ed infatti, la scalinata o la fontana davanti ad essa, più volte violate da gente di passaggio, hanno ovviamente sofferto della poca protezione: il marmo è scheggiato e rigato di sporcizia. Ma anche quei turisti avevano, in un aspetto molto importante, fatto considerazioni nel modo sbagliato.
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Pochi esseri sulla terra conoscono questa verità malinconica meglio dei cittadini italiani. Nasciamo in una profonda intimità con la decadenza. Siamo stati la culla del più grande impero della storia (per te precisino che stai leggendo, ci tengo a dire che quello Mongolo non conta, è durato un cazzo) e siamo stati l’epicentro del Rinascimento - patria di supereroi dell’arte, cultura e progresso. E come niente, troppo spesso ne abbiamo fatto falò come novelli Savonarola, al netto della sua coerenza e supposta moralità. Allontanarmi da “casa” e trovarmi itinerante, ha creato una sorta di scatto esistenziale nel mio cervello, un improvviso aggiustamento dei valori relativi e delle proporzioni di ogni altro oggetto del mondo, me compresa. Osservandola ora con la giusta distanza, l’Italia resta comunque una destinazione privilegiata. Il quinto paese più visitato, se non consideriamo che la Spagna viene prima di noi perché decisamente meno cara e che la Cina (uno dei nostri visitatori più affezionati) ha il quarto posto per via degli spostamenti dal sud est asiatico. Inoltre, è la nazione con il maggior numero di siti turistici iscritti nel patrimonio mondiale dell’Unesco e anche di questo non siamo certo stupiti.
In una nuova classifica sulla reputazione globale dei Paesi, l’Italia si è distinta per il cibo, il patrimonio e i prodotti autentici, ma molto peggio per inclusività, sostenibilità e tecnologia. Siamo posizionati al 14º posto su 75 stati classificati da Future Brand, una società di consulenza di branding che studia come le nazioni sono percepite dal resto del pianeta. Il suo Global Index Rank 2022 ha esaminato i più grandi paesi della Banca Mondiale in base al Pil e ha chiesto alle persone di tutto il mondo di classificarli secondo fattori quali standard di vita, potenziale commerciale, compatibilità ambientale, patrimonio, opzioni turistiche e tolleranza. L’Italia ha migliorato la sua posizione dal 2014, quando l’ultimo indice l’aveva portata alla posizione numero 18. Ma si colloca ancora dietro molti dei suoi vicini del nord Europa, tra cui Svizzera (3), Svezia (4), Germania (6). I punteggi più alti sono stati per il cibo, la storia, il patrimonio, l’arte e la cultura, che hanno contribuito a renderci quel punto di riferimento che gli intervistati vorrebbero visitare per una vacanza - anche se non è stato considerato un luogo con ottimo rapporto qualità-prezzo (se non è qualità-prezzo questo, mi spiegate allora cos’è? Le ferie in Canada vi meritate, spilorci).
Certo abbiamo ottenuto ottimi risultati anche per i prodotti “Made in Italy”, che mantengono la reputazione di qualità e autenticità addirittura sopra la Francia, nostra diretta concorrente, che in realtà ci ama profondamente ma che comunque vorrebbe vederci affogati in fondo al lago di Como, legati per i piedi a decine di forme di Camembert.
Ma è sul soggiorno a lungo termine che l’Italia ha perso punti: 33º posto nella categoria “buono per le imprese”, 37º per la tecnologia avanzata, e 46º per il rispetto dell’ambiente. E purtroppo, continuiamo a mantenere da anni una pessima reputazione (44º posto) per tolleranza, suggerendo che no, non è percepita come un luogo particolarmente accogliente tra gli stranieri. I nostri residenti internazionali lamentano inoltre le nostre lacune in ambito tecnologico: sono meno soddisfatti con i servizi digitali e l’utilizzo dei pagamenti online. Non che sia andata meglio a Germania, Francia e Spagna per essere onesti, per il progresso guardano sempre tutti a Nord. Almeno sulla carta.
Il rapporto Digital Life Abroad ci colloca non solo dietro chiunque in Europa, ma anche dietro diversi paesi con un Pil molto più basso, tra cui Kenya, Repubblica Dominicana, Kazakistan e Vietnam. Argh. E non solo! In un recentissimo sondaggio, l’Italia, sempre a causa di una burocrazia bizantina, si è classificata negli ultimi cinque paesi su 52 per facilità di potercisi stabilire. Ma alla fine, nonostante tutto e qualunque cosa accada, in tanti dichiarano il loro amore spampillonato (per dirlo alla Sarda) per questa Italia patria delle passioni, delle voci forti, delle mani espressive e dei cinghiali per strada (amorini). Tranne noi naturalmente. Questo stile di vita che è un inno alla flessibilità, alla capacità di adattarsi a situazioni impreviste; questa incoerenza che è ormai un vezzo e che accetta tutto come una cattiva madre; questa puntualità, che no, è un concetto talmente astratto, un sogno lontano che amiamo rimanga lì, in bilico sul “ce la farà, non ce la farà”, ma soprattutto questa pubblica amministrazione labirintica, dove i documenti si perdono tra gli uffici come pecorelle smarrite e la sanità, che è stata fiore all’occhiello e considerata tra le migliori a livello mondiale e che ormai perde colpi lasciando i cittadini ad aspettare mesi per visite fondamentali, operazioni salvavita e terapie.
Tutto questo, l’abbiamo creato con grande cura e precisione, a nostra immagine e somiglianza. Grazie ad una storica, immensa, vanità. Open to meraviglia (cit.). Perché vivere in Italia, significa anche essere circondati da una bellezza costante, stordente, commovente, forse troppa tutta insieme. E dovevamo trovare un modo di sopravvivere a cotanta eredità. Lamentandoci ad esempio. Perché se il sistema non funziona, noi si possa inventare modi sempre nuovi per frignare e non fare. Ed è forse anche per questo, che abbiamo dato spazio nelle nostre città all’accumulo d’immondizia, abusi edilizi e strade dissestate pure in centro, fino a influenzare oggi anche Milàn l’è un gran Milàn, che da quando ha iniziato a sentirsi chiamar bella, ci ha tenuto a mettersi in pari con il resto della penisola ed ha abbracciato totalmente lo stile eclettico del Sud per esempio, con i suoi caotici casini e quel romantico declino, addirittura migliorandolo! In peggio.
PRIVILEGIO
Eppure, nonostante tutto, io credo fermamente che essere italiani sia un privilegio. Per esempio, prendete i vantaggi dati dal nostro passaporto. Pochi visti, sicurezza, ed una sorta di immunità nei casi più disparati: «Non può fotografare nell’area security! Ah, ma è italiana, tranquilla vada vada». «Dobbiamo fare un extra controllo! Ah, ma è italiana, vada vada». «Mi spiace, le sue valige sono troppo pesanti, deve pagare un extra, ah ma è italiana! Vada vada». Capite bene, che questa simpatia ed affetto che nasce nel cuore anche del più gelido forestiero a prescindere dai disagi causati nei media dai governanti del momento, resta “Pure Gold” al netto dei cliché di Mafia, Pizza e Pasta. La contraddizione come preghiera, autorizzata legalmente dalla nostra politica da avanspettacolo, e che non è così diversa da quella estera sia chiaro, anche se a noi piace sempre pensare che non sia così. “BELLA ITALIA”, è il faro nell’arte di vivere il momento, di godersela anche con due spicci e di parlarsi addosso senza riserve anche quando dovremmo tacere. Tutta questa umanità ci rende il vero paradiso esotico nel cuore dell’Europa. Dopo l’Italia, abbiamo davvero fatto gli Italiani, anche se un po’ a modo nostro, perché alla fine che ci importa: tutto il mondo è paese.