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Immigrazione, il patto Italia-Tunisia un modello per fermare gli sbarchi

Pietro De Leo
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Dice la premier, Giorgia Meloni, arrivando al Consiglio Ue: «Per noi le conclusioni del vertice sono un’ottima base di partenza». E tra i punti soddisfacenti cita anche “migrazione e Tunisia”. Nello specifico, sulla Tunisia, la premier apprezza il fatto che vi sia stato dedicato un paragrafo apposito, nel capitolo delle relazioni esterne: «Racconta quell’idea di partenariato strategico con i Paesi del Nord Africa che per noi è un cambio di passo molto importante sul ruolo dell’Europa nel Mediterraneo, di cui l’Italia è stata portatrice in questi mesi». Poco più tardi, la presidente dell’Europarlamento Roberta Metsola, affermerà riguardo ai flussi: «Devono essere le nostre leggi e il quadro giuridico a creare le regole, non le reti di traffico». E ancora: «Non possiamo ignorare la dimensione esterna del problema».

 

PROGRESSI - Il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, dal suo canto si riaggancia al risultato del recente Consiglio Ue degli Affari interni da dov’è scaturito quell’ingranaggio di condivisione, il cui iter di approvazione è ancora lungo, che costituisce un progresso: «È un grande passo avanti perché è stato concordato un meccanismo di solidarietà di cui noi in Europa avevamo bisogno da tanto tempo. Esige qualcosa da tutti». Sul tavolo del vertice di ieri, la bozza delle conclusioni pone tra gli obiettivi la necessità di affrontare il dossier con una “risposta europea” (ma questa non è certo una novità), un rafforzamento dell’impegno comunitario per stroncare il traffico di esseri umani, e l’accettazione del pacchetto concordato con la Tunisia, la rilevanza degli aspetti esterni del fenomeno. Questa, dunque, la parte del clima politico favorevole al nostro Paese.
Tuttavia sul tema migratorio, come noto, si riflettono le diverse sensibilità politiche presenti nel quadro del Consiglio, soprattutto per quanto riguarda il maggiore impegno economico messo sul tavolo dalla Presidente della Commissione Ursula von der Leyen nell’ambito della revisione del bilancio comune (che ad esempio secondo l’Ungheria sarebbero insufficienti), così perplessità ci sono su come si tradurrà, in concreto, l’impegno sulla “dimensione esterna”. Per questa serie di motivi, la discussione sul punto, iniziata poco prima delle 18 dopo l’approvazione delle conclusioni su Ucraina, sicurezza e difesa, si è protratta fino a tardi, per poi arrivare a una sospensione alle 21 dopo che Ungheria e Polonia hanno puntato i piedi sul metodo di approvazione delle conclusioni sul dossier, che i due Paesi vogliono sia all’unanimità, contrariamente al resto del Consiglio. Fisiologico sia così, considerando il modo in cui il tema migratorio, sia sul lato degli arrivi che su quello delle risorse impiegate, impatta sempre con le opinioni pubbliche interne.

 

Che il tema, però, sia centrale anche a livello di famiglie europee lo dimostra il summit del Ppe, che si è tenuto sempre ieri a Bruxelles, cui ha partecipato il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Nella dichiarazione conclusiva, i popolari sottolineano la necessità di «rafforzare l’ordine alle frontiere esterne». Intanto, a livello nazionale, l’Italia (metà di continui approdi, con l’hotspot di Lampedusa di nuovo a livello critico) mette a sistema le novità legislative sul tema. Ieri l’incontro tra il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il titolare della Giustizia Carlo Nordio in cui è stata decisa l’attivazione di un tavolo per accelerare le espulsioni di chi non ha titolo a rimanere sul nostro territorio. Tornando al Consiglio Europeo, altro punto rilevante è quello della Cina. Nella bozza delle conclusioni si evidenzia la complessità delle relazioni («l’Ue è contemporaneamente un partner, un concorrente è un rivale sistemico»), ma nel contempo si auspica il perseguimento di “relazioni costruttive e stabili.

 

 

 

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