Migranti, Vittorio Emanuele Parsi: "Vanno salvati, ma non tutti stiano qui"
Migrate, migrate, qualcosa resterà. I flussi migratori si decuplicano, le tragedie scandiscono il ritmo del mare, delle coscienze e della politica. Sicché, quella mente raffinata di Vittorio Emanuele Parsi ordinario di Relazioni Internazionali all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e di Studi strategici all’Università di Lugano (USI), contribuisce al pubblico dibattito con piglio tutt’altro che politically correct.
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Caro professor Parsi, le migrazioni impazzite spingono Meloni a chiedere l’intervento dell’Europa che finora promette e non mantiene. Qualcuno rispolvera la teoria di una sorta di “neocolonialismo”: esportazione di civiltà, lavoro e democrazia in cambio del blocco dei flussi da parte dei Paesi di partenza. Neocolonialismo di fatto, come fa la Cina, però con tutti i diritti civili intatti. È possibile?
«Una qualsiasi forma di neocolonialismo è impossibile, oggi. I flussi non si possono bloccare dai paesi d’origine perché il valore delle rimesse dai migranti dall’estero è gigantesco.
È come i nostri migranti, nel dopoguerra, che inviavano soldi dall’America e ci mantenevano due famiglie; vale lo stesso per i migranti che dall’Italia, o dal resto d’Europa, rimandano parte dei loro stipendi in Africa, Siria, Afghanistan Si colonizzano da soli, in pratica».
Se non è possibile bloccare i flussi dai paesi di partenza, possiamo rifarci con i paesi di transito?
«No. I flussi non si possono bloccare neanche dai paesi di transito. È la differenza che c’è – come si dice - tra i fenomeni di smuggling e di trafficking. Attengono entrambi al traffico dei migranti, ma nello smuggling il migrante ha un ruolo attivo nel contattare l’organizzazione ed esiste dunque un accordo tra le parti. Voglio dire che ora c’è, attorno ai flussi migratori, una zona grigia, un indotto fatto di imprese illegali ma non criminali: la gestione dei posti letto, del reperimento dei camioncini per i trasporti, dell’organizzazione di vitto o di guida: se blocchiamo il traffico dei migranti, di botto, queste attività non spariscono ma diventano veri propri crimini. Se lo ricorda il contrabbando di sigarette da noi, ai limiti delle legge, da noi? È la stessa dinamica».
Ma, allora, scusi, qual è la soluzione? Non mi dica “cambiare i trattati”, a cominciare da quello di Dublino con le sue norme che crocefiggono l’Italia sul vincolo dei paesi di primo sbarco. Ché, tanto, fino alle prossime Europee i trattati mica si cambiano...
«Guardi, a parte i trattati (siamo d’accordo) il governo deve innanzitutto imparare a distinguere i vari tipi di migranti. Ci sono i rifugiati politici, cioè quelli richiedenti asilo da paesi in guerra o con regimi dittatoriali, e bisogna accoglierli sempre (quelli di Cutro, dalla Siria, dall’Iran, erano tutti così). Poi ci sono i rifugiati economici che non hanno diritto a rimanere. Poi ci sono gli affogandi, ossia i potenziali naufraghi da salvare per il diritto del mare; ma non è detto che, una volta salvati, li si debba tenere. Infine, ci sono quelli che costituiscono flusso di manovalanza, che sono una cosa a sé che non c’entra nulla col resto».
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...Cioè quelli di cui il ministro Lollobrigida dice che abbiamo un disperato bisogno, invocando i desiderata del nostro sistema produttivo?
«Esatto. Ma il fatto di creare corridoi per la manodopera esula dalla creazione di corridoi umanitari, così come c’è differenza enorme fra il migrante economico e politico, e i clandestini che sono altro ancora. Da noi si fa casino, mescolando i piani; e così, ovviamente, si vengono ad abbassare le difese per i richiedenti asilo. Ma guardi sono errori di valutazione che, onestamente hanno fatto tutti i governi, mica solo questo».
E quindi, tornando a bomba, la soluzione?
«Be’, la prima cosa da fare è rivedere la questione Sar, che significa “ricerca e soccorso”. Vede, una volta le barche in mare reggevano e il naufragio era un’eccezione. Ora i naufragi sono all’ordine del giorno perché, a differenza del trasporto delle merci, trasportare esseri umani comporta il fatto che – pagando il viaggio circa 15 dollari in anticipo - quando la barca affonda non frega nulla a nessuno, tanto quelli hanno già pagato».
La sua analisi non è un po’ cruda?
«Guardi. Più o meno ogni barca stracarica di migranti fa incamerare 1,5 milioni di dollari. Lei crede che, a fronte di un natante scalcinato dal valore massimo di 30mila dollari, di scafisti sacrificabili e di un carico di carne umana, le organizzazioni criminali non si assumano i rischi di impresa? Dai. Il problema è che, di fatto, i nuovi decreti stanno riproponendo una nuova Bossi-Fini anacronistica. In realtà, i flussi possono essere risolti o con politiche restrittive o con un’amplia politica d’accoglienza, ma bisogna capire bene la situazione di volta in volta. Qua, invece, non si capisce».
Be’ si capisce, che accanto alla lotta senza requie agli scafisti il “decreto unico” della Meloni, prevede di salvare tutti e aprire all’immigrazione regolare. E la vera cosa che non si capisce è perché, con la Meloni imperante, siano decuplicati i flussi. Non lo trova strano?
«I flussi di sono decuplicati per vari motivi. I profili delle autorità di governo libiche, per esempio, si giustappongono spesso a quelli degli scafisti. Infatti prima bisognerebbe prendere accordi direttamente con quei governi; solo dopo, eventualmente con la Wagner, per dire. Inoltre, sono sempre più numerosi i posti in cui scoppia la guerra o in cui si fa la vera fame. Consideri anche il climate change che favorisce ora i viaggivia mare anche in inverno. Ora ai trafficanti interessa solo che il tempo atmosferico sia sereno all’orizzonte, se oltre c’è tempesta, pazienza».
E questo l’ho ben chiaro. Ma non trova- ribadisco- curioso che la Turchia abbia riaperto una terza tratta migratoria che tocca il Libano e Cipro, salta magicamente la Grecia e fa sbarcare i barchini direttamente in Italia? Non ci può essere una pressione politica di Erdogan che vuole – chessò - più soldi per bloccare i flussi?
«Sì, la Turchia potrebbe usare la bomba migratoria. D’altronde Erdogan tratta coi russi, e fa accordi con l’Iran nel Levante. Ma ora, ora, dall’Iran, aumentano le fughe, soprattutto di donne, giovani e disperate per il regime talebano».
Ma, osservando questi regimi autocratici – Russia, Cina, Iran, Turchia - che fanno esercitazioni miliari insieme, e votano pro Putin, lei non ha la sensazione di una nuova divisione del mondo in due blocchi: filoccidentale con gli Usa al comando e filorientale con la Cina che si erge a baluardo?
«Mah. A volte le spiegazioni più semplici sono le migliori. Possono gli stati autocratici avere interesse a destabilizzarci? Probabilmente sì. Ma una ragnatela di organizzazione così fitta, in questi termini, be’, è difficile da immaginare».
Ecco, appunto: la brigata Wagner...
«È probabile che la Wagner tenti di fare l’interesse del committente, Mosca. Ed è altresì probabile anche che abbia sviluppato nuovi interessi nel traffico di esseri umani; d’altronde, l’ha già fatto con migliaia di bambini ucraini. Ma che la loro azione abbia un effettivo un “effetto push” nell’ambito delle “bombe migratorie”, be’, è tutto da verificare».
Xi Jinping e Putin. La Cina si schiererà del tutto con la Russia, osi manterrà in equilibrio con l’Europa che ora gli sta bloccando, commercialmente, la Via della Seta?
«Tra Xi e Putin c’è un patto di non belligeranza, come tra Roma e Berlino di mussoliniana memoria. Qui, ora, si tratta di instillare in Xi il convincimento che il parteggiare per i russi possa essere, a lungo andare – a livello di scambi commerciali con l’Europa- controproducente. D’altronde, i circuiti stampati e i chip per la Cina li facciamo noi e gli americani. L’Occidente deve andare da Xi a dirgli: “Guarda, Ciccio, devi scegliere: se continui così il gioco nonti vale più la candela...”. Le confermo, però, che si tratta di un’equazione con molte variabili».
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