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Ong, la giudice contro Piantedosi? Con chi ha fatto politica

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Paolo Ferrari
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Porti spalancati. Lo ha deciso la scorsa settimana il giudice catanese Marisa Acagnino, stroncando il decreto “anti sbarchi” voluto dal ministro Matteo Piantedosi e condannando i ministeri dell’Interno, della Difesa e delle Infrastrutture al pagamento delle spese processuali. La vicenda riguardava la nave della Ong tedesca Sos Humanity. L’imbarcazione, con 179 migranti a bordo, era arrivata al porto di Catania il 6 novembre dello scorso anno. 144 erano stati fatti sbarcare subito, gli altri 35 erano rimasti a bordo perché uomini adulti senza problemi sanitari. La scelta era stata effettuata sulla base del decreto interministeriale Piantedosi che vietava alla nave tedesca di restare in acque territoriali italiane più del necessario, ovvero oltre il tempo che serviva per soccorrere le persone a rischio, le donne e i minori. Gli avvocati della Ong avevano deciso di presente ricorso al tribunale civile di Catania peri restanti migranti a bordo che, comunque, dopo 3 giorni erano stati fatti sbarcare lo stesso.


Per Acagnino, esponente di Magistratura democratica, la corrente di sinistra delle toghe da sempre contraria a qualsiasi politica volta a regolamentare gli sbarchi dei migranti, il decreto è illegittimo in quanto l’Italia non può rifiutarsi di fare sbarcare i naufraghi soccorsi in mare da qualunque genere di navi di soccorso e non può discriminare i superstiti sulla base delle loro condizioni di salute. «Fra gli obblighi internazionali assunti dal nostro Paese, vi è quello di fornire assistenza a ogni naufrago, senza possibilità di distinguere, come sancito nel decreto interministeriale applicato nella circostanza, in base alle condizioni di salute», scrive allora Acagnino, presidente della sezione immigrazione del tribunale etneo.


IL MAGISTRATO
I Ministeri coinvolti si erano costituiti in giudizio e avevano chiesto di dichiarare cessatala materia del contendere proprio perché, come detto, tutti i migranti erano stati fatti scendere. Nulla da fare per la magistrata che ha quindi emesso la sentenza e condannato a risarcire i migranti. Per avvallare la sua tesi, la giudice progressista ha citato una sentenza della Cassazione secondo cui «una nave in mare che presta assistenza non costituisce luogo sicuro, se non in mera via temporanea, giacché essa, oltre ad essere in balia degli eventi metereologici avversi, non consente il rispetto dei diritti fondamentali delle persone migranti soccorse, fra i quali va incluso il loro diritto a presentare domanda di protezione internazionale». E questo può avvenire solo dopo aver messo piede a terra. «Il dovere di soccorso non può considerarsi adempiuto con il solo salvataggio dei naufraghi», ma con la discesa a terra «presso un “luogo sicuro” (place of safety), e cioè - prosegue la toga - in un luogo dove le operazioni di soccorso si considerano concluse». Acagnino, prima di dedicarsi ai migranti era balzata agli onori delle cronache per essersi candidata a sindaco di Catania con la lista il Megafono dell’allora governatore siciliano Rosario Crocetta. Candidatura che era poi sfumata.


«La politica secondo logiche che non mi appartengono, non mi ha più sostenuta, né ha voluto che a scegliere il candidato sindaco fossero i cittadini attraverso le primarie, nonostante l’impegno da voi tutti profuso Rimango, da cittadina consapevole, insieme a voi, a battermi per il futuro della nostra città», aveva scritto in un post la magistrata. Tutto perfettamente legittimo, va detto, in quanto prima della riforma Cartabia i magistrati potevano tranquillamente candidarsi nella città dove fino alla sera prima avevano prestato servizio. Certo, da un magistrato che in passato ha fatto una scelta di campo chiara, come quella di candidarsi con partito a sindaco, è lecito avere qualche dubbio sulla terzietà. 

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