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Migranti, l'Italia è al collasso: perché ci facciamo male da soli

Francesco Carella
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La questione dell'immigrazione irregolare sta assumendo dimensioni tali da non potere essere più affrontata con soluzioni tampone. «Siamo al limite delle possibilità», aveva chiarito senza mezzi termini Mario Draghi. È ormai acclarato che i numeri relativi ai flussi immigratori siano destinati ad aumentare per ragioni già ampiamente trattate da Libero che vanno dalla crescita demografica delle popolazioni del Sud del mondo alle difficoltà delle classi dirigenti di quei Paesi nel riuscire ad individuare soluzioni efficaci sul terreno economico ed alimentare.

I conflitti etnici locali e la strumentalizzazione degli stessi da parte di potenze (in primo luogo la Russia) interessate a destabilizzare il clima politico europeo - in particolare quello italiano- rendono ancora più complesso il quadro generale. Nondimeno, si continua ad avvertire non poca ambiguità a sinistra nel misurarsi in termini realistici con una delle emergenze più delicate con cui il nostro Paese sarà chiamato a fare i conti nei prossimi mesi. Una tale sottovalutazione è qualcosa di sconosciuto negli altri Stati membri dell'Unione, dove le decisioni, anche le più dolorose, prese dai governanti incontrano il consenso delle opposizioni e della stragrande maggioranza della popolazione. In Italia, purtroppo, accade spesso il contrario.

Le cause di una siffatta anomalia sono da ricondurre ad un incompiuto processo di nazionalizzazione del nostro Paese che ha di fatto impedito la piena identificazione dei cittadini con lo Stato e con i compiti che esso è chiamato a svolgere in un sistema democratico. Si raccolgono ancora oggi i frutti avvelenati di una campagna politica che ha visto protagonista nella seconda parte del secolo scorso un partito, il Pci, impegnato ad accreditare lo Stato come "mero strumento della borghesia e del capitalismo" e non quale luogo della sovranità nazionale. In tal senso, non vi è da stupirsi se l'establishment politico-culturale della sinistra italiana continui a sostenere (delegittimando, come è avvenuto con l'ex ministro dell'Interno Matteo Salvini, ogni azione messa in campo per contrastare il delinquenziale traffico di migranti) la tesi secondo cui coloro che operano per far sì che venga rispettata la sovranità territoriale dello Stato - nel momento in cui l'immigrazione irregolare ne mette in discussione il fondamento altro non fanno che la prove generali per imprimere una svolta autoritaria al nostro sistema politico. Si tratta di una gigantesca falsificazione storica a cui si ricorre per giustificare la politica dei porti e delle porte aperte, disconoscendo, in tal modo, il valore della forza della legge in una democrazia.

Ricordava il teorico della società aperta, Karl Popper, che in un sistema democratico «il prezzo della libertà è dato dall'eterna vigilanza». Vada sé che la "vigilanza" non possa essere esercitata con il registro retorico dei buoni sentimenti, ma solo per mezzo di uno Stato che sia in grado di ricorrere, quando siano a rischio sia la sicurezza che la sovranità, all'uso legittimo della forza secondo il canone costituzionale. La speranza è che il dibattito che si svilupperà nei prossimi giorni, in vista delle elezioni, possa fare chiarezza sulle strategie che le diverse forze politiche intendano adottare per affrontare in termini pragmatici un'immigrazione sempre più fuori controllo. Il cittadino elettore ha tutto il diritto di conoscerle prima di recarsi alle urne. 

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