Immigrazione, basta accoglienza indiscriminata: Draghi passi dalle parole ai fatti
Data l'importanza e la forza divisiva dell'argomento vale la pena di accendere i riflettori sui numeri che chiariscono, meglio di tante inutili polemiche, ciò che sta effettivamente accadendo nel braccio di Mediterraneo compreso fra i Paesi del Nord Africa e le coste italiane. Leggendo i dati forniti dal Viminale, si apprende che dal 1° gennaio al 5 luglio 2.022 sono arrivati nel nostro Paese 29.369 immigrati, contro i 21739 dell'anno precedente e i 7.368 del 2020. In tal senso, le parole pronunciate dal presidente del Consiglio Mario Draghi in Turchia, dopo l'incontro con il leader turco Recep Erdogan, non potevano essere più nette: «Siamo al limite delle possibilità». Frattanto, i più autorevoli studiosi di demografia prevedono che le migrazioni lungo l'asse Sud/Nord siano destinate a segnare i prossimi decenni in ragione di uno stato di povertà crescente nel Continente africano aggravato ulteriormente, per via della guerra in Ucraina, dall'interruzione delle forniture di grano. Intanto, fra il silenzio a dir poco imbarazzante del nostro ministro dell'Interno e la latitanza dell'Unione europea, gli sbarchi lungo le coste siciliane continuano senza sosta. Se fossimo un Paese meno ideologizzato partiremmo dalle recenti valutazioni del capo del governo per aprire, senza ipocrisie, un dibattito pubblico intorno alle possibili strade da seguire per affrontare un'immigrazione di massa sempre più complessa.
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SCELTA OBBLIGATA
Non vi sono molte alternative. O si conferma l'attuale politica delle porte aperte oppure, valutata l'entità del fenomeno, si opta per un'azione che tenga conto delle capacità effettive di accoglienza da parte dell'Italia. La scelta dell'apertura indiscriminata comporta un costo che gli italiani hanno il sacrosanto diritto di conoscere. Infatti, fra non molto sarà davvero difficile evitare (peraltro in un momento di pesante crisi economica con un drammatico aumento della quota di povertà fra i nostri connazionali) il ricorso a straordinari interventi fiscali, per confermare gli attuali standard nelle politiche di accoglimento. Nel medio-lungo periodo, invece, a causa di una considerevole presenza della comunità islamica fra gli immigrati, gli sforzi richiesti saranno ancora più impegnativi perché si tratterà di agire non solo sul terreno finanziario, ma soprattutto su quello culturale - difficile e pieno di incognite - al fine di evitare conflitti di ordine identitario.
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Si tratta di questioni non risolvibili attraverso le scorciatoie populistiche preferite dalla sinistra come lo ius scholae di cui si discute nelle ultime settimane. In attesa che il coraggio della chiarezza prevalga sulla demagogia, vale la pena di ricordare che coloro che guidano un Paese democratico hanno il dovere di operare secondo princìpi di rigoroso realismo anche perché il cittadino a fronte del rispetto delle leggi pretende giustamente dallo Stato adeguate contropartite, la principale delle quali è la disponibilità dello stesso ad usare la weberiana "forza legittima" per proteggerlo dalle minacce esterne. Se è vero, come sostiene il presidente Mario Draghi, che il nostro Paese è ormai al limite delle sue autonome possibilità nel gestire un flusso immigratorio di tali dimensioni, allora è giunto il momento di passare dalle parole ai fatti concreti. A meno che non si voglia continuare a fare prevalere la logica degli sbarchi illegali a detrimento della forza della legge. In tal caso, un Paese corre il rischio di perdere i suoi beni supremi: la sovranità e la libertà.
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