Schiavi neri e islam, la verità sulla tratta degli esseri umani che non vi dicono
La minimizzazione della uccisione del giovane studente italiano Davide Giri da parte del New York Times e dei media progressisti americani è stata denunciata da Federico Rampini. Questo atteggiamento sarebbe ormai una costante del NYT ogni qual volta, come in questo caso, afroamericani siano gli autori di gravi fatti di sangue. Quello che un tempo fu il più autorevole giornale americano è arrivato a lanciare una iniziativa, The 1619 Project, che mira a processare la storia americana e delle sue istituzioni, alla luce del fenomeno schiavista. Il 1619 fu infatti l'anno in cui una nave olandese di ritorno dall'Africa avrebbe portato in Virginia i primi 20 schiavi africani. La condanna della cultura "bianca" e delle istituzioni occidentali, a causa del retaggio schiavista, avviene tuttavia in una lettura colpevolmente parziale dei fatti storici. Il fenomeno schiavista, nell'epoca moderna, vede un ruolo importante innanzitutto di mercanti arabi che avrebbero venduto sui mercati orientali ben 17 milioni di africani, secondo Ralph Austen.
In questo contesto si innestò a partire dal XVI secolo l'azione particolarmente efferata dei pirati barbareschi ai danni delle popolazioni europee. Come è stato scritto in un bel libro di Robert C. Davis, professore di Storia sociale italiana presso l'università statale dell'Ohio, nel 1500 la tratta transatlantica degli schiavi contava in media 3200 prigionieri africani all'anno, i corsari che partivano da Algeri, e successivamente da Tunisi e da Tripoli, facevano altrettanti schiavi bianchi e anche di più in un solo raid sulle coste europee. È stato calcolato che in 250 anni, fra 1530 e 1780, circa 1 milione 250.000 bianchi e cristiani sarebbero finiti schiavi in Nord Africa. Schiavi bianchi e cristiani non si trovavano però solo sulla costa barbaresca. Padre Baggio di Turena verso il 1670 scriveva: «In 20 anni di opera missionaria ad Aleppo, Baghdad, Il Cairo e Suez sul Mar Rosso ho potuto vedere la miseria infinita di poveri cristiani fatti schiavi».
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ROTTE ATLANTICHE - La tratta degli africani sulle rotte atlantiche non nasce dunque dal nulla. Del resto, come testimoniano Maximiliano Barrio Gonzales e Salvatore Bono, in altri due lavori sulla schiavitù nel Mediterraneo, dei 5/6 milioni di schiavi al servizio nell'impero ottomano, i 4/5 erano africani. I mercanti bianchi che portavano gli schiavi in America approfittarono dunque di un vasto mercato schiavile già da tempo ben avviato. Le varie comunità africane in guerra fra di loro vendevano infatti i loro prigionieri a intermediari neri o arabi che a loro volta li rivendevano ai trafficanti occidentali. Il sangue degli schiavi arricchiva in primo luogo principi neri e mercanti mussulmani.
La orrenda pratica schiavista non è dunque prerogativa esclusiva dei Paesi occidentali, che anzi, in nome di principi umanitari sconosciuti presso altre culture, nel 1800 giunsero ad imporre il divieto della tratta dei neri, che ancora diversi capi tribù africani e numerosi mercanti mussulmani praticavano imperterriti. Già nel 1537 papa Paolo III aveva previsto la scomunica per coloro che avessero ridotto in schiavitù le popolazioni amerinde. La Francia rivoluzionaria abolì provvisoriamente la servitù nel 1774. Sarà poi lo Slave Trade Act, votato dal Parlamento britannico il 25 marzo 1807, ad imprimere una svolta decisiva alla lotta contro lo schiavismo. A partire dal 1808 anche gli Stati Uniti vietarono il commercio degli schiavi, ma non ancora la schiavitù. Sull'esempio inglese, nel 1817 pure Spagna e Portogallo abolirono schiavitù e tratta, seguiti nel 1830 dalla Francia. La marina britannica si incaricò anzi del compito di reprimere il commercio internazionale, ancora diffusamente praticato fuori dall'Occidente, pattugliando gli Oceani Indiano e Atlantico. Su una lettura partigiana della storia si sta in realtà costruendo l'odio verso la cultura "bianca", primo passo per un odio razziale alla rovescia