Perugia, l'islamico maltratta la moglie per il velo? Assolto dal giudice: la vergogna
Cosa succede quando una coppia di origine marocchina, da anni residente in Italia, litiga, anche in maniera particolarmente violenta, costringendo la moglie a denunciare il marito alla polizia? Nulla. I comportamenti, «non condivisibili in ottica occidentale», rientrano comunque «nel quadro culturale dei soggetti interessati». Tradotto in altri termini, sei musulmana, tuo marito pure, sapevi bene a cosa saresti andata incontro sposandolo. Sta facendo molto discutere la richiesta di archiviazione da parte del pm di Perugia Franco Bettini della denuncia per maltrattamenti in famiglia presentata da una donna marocchina, stufa di subire violenze e minacce da parte del marito.
La donna, nata in uno sperduto paesino del deserto del Marocco, si era sposata a dicembre del 2014, su consiglio della famiglia come da tradizione locale, con un uomo del suo villaggio. Lei aveva allora 26 anni, lui 32. Dopo il matrimonio la coppia si trasferisce in Italia, a Tuoro in provincia di Perugia. Hanno tre figli. Il primo figlio nasce ad ottobre del 2015. Il secondo l'anno successivo ed il terzo dopo due. Il rapporto è «turbolento», come racconta la donna alla polizia. «Quando eravamo in Marocco mi faceva portare il velo integrale, anche con i guanti alle mani», afferma la donna, che aggiunge: «Non mi chiudeva in casa perchè abitavamo in campagna». Arrivati in Italia, però, si cambia decisamente regime: «Quando usciva mi chiudeva in casa e si portava via le chiavi». Questa situazione prosegue ininterrottamente dal 2015 al 2019.
La donna può uscire di casa solo per andare dal medico o in ospedale a partorire. E, una volta nati i figli, per accompagnarli a scuola. La vita infernale della donna marocchina è ben descritta in questa scena: «Dopo aver partorito il primo figlio sono rientrata da sola a casa alle 4 e 30 del mattino. Mio marito allora ha preteso che gli preparassi la colazione. Io ero ancora dolorante. Lui mi diede uno schiaffo iniziando a dire che era buona a nulla». L'educazione dei tre figli è rigidissima, sotto gli stretti precetti del Corano. «Se qualcuno gli regalava un giocattolo mio marito diceva che era peccato», ricorda la donna. Essendo stata tenuta prigioniera in casa per tutti questi anni, la donna non ha imparato mezza parola d'italiano. Per presentare denuncia il mese scorso c'è stato bisogno dell'interprete. «Io non conosco la lingua e quando i nostri figli imparavano qualche parolina d'italiano mio marito glielo proibiva». L'uomo decide di separarsi. In Marocco.
Durante il viaggio si porta via i documenti sanitari dei tre figli, mettendo in difficoltà la moglie rimasta in Italia. L'unica fonte di sostentamento per la donna è il bonus per madri senza lavoro erogato dall'Inps e pari a circa 2mila euro. L'aver preso questo bonus, purtroppo, è stato controproducente agli occhi del pm di Perugia. «Non ha segnalato la sua situazione ai servizi sociali, a cui si era rivolta per il ottenere il bonus, pur avendone la possibilità». Non sussiste, conclude il pm scrivendo il provvedimento di archiviazione, nel comportamento dell'uomo una tale offensività delle azioni da ingenerare i sentimenti tipici di paura ed ansia.
Costringere ad indossare il velo integrale o obbligare la moglie a rimanere a casa per fare i figli rientra, dunque, nei comportamenti che una brava musulmana deve tenere con il marito. Influenze religiose a cui la donna non riesce a sottrarsi. Il difensore della donna, l'avvocato napoletano Gennaro De Falco, presenterà opposizione alla richiesta di archiviazione del pm «il prossimo 25 novembre, giornata della violenza sulle donne».