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Sergio Mattarella, asse Quirinale Lega sull'immigrazione: il Pd adesso che dice?

Giovanni Sallusti
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Evoca alcune verità scomode in tema di immigrazione il presidente Mattarella in visita ad Algeri, e col timbro quirinalizio sono più difficili da ignorare anche per il mainstream. Poi certo ci sono anche omissioni di cortesia ed equivoci di sostanza, ma andiamo con ordine. Anzitutto, l'intervista al quotidiano algerino Liberté: «L'Europa e l'Africa sono chiamate a fare di più sul dossier migranti, nel segno di una collaborazione aperta, efficace, sincera, dove le posizioni sono talvolta distanti, ma sempre rispettose e costruttive». Una petizione di principio generica, certo, ma quantomeno non la solita sbobba precotta da retrocucine buoniste, tanto che Matteo Salvini vede subito il pertugio, e si infila: «Mattarella ha ragione a chiedere che Europa e Africa facciano di più», infatti «da ministro ho dimostrato che è possibile ridurre morti e sbarchi» (la crudezza delle cifre è dura da negare anche per i più acerrimi tra i molti nemici che ha il Capitano). In ogni caso, che l'interpretazione inclusivista a prescindere del Mattarella-pensiero non sia l'unica né in questo caso la più azzeccata, lo conferma lui stesso nella medesima intervista: «Il fenomeno migratorio deve essere governato per il bene di tutti. In caso contrario, sia le nostre ragioni umanitarie sia i nostri sistemi statali saranno sopraffatti».

 

 

 

 

 

Aleggia qui una distinzione quasi sempre rimossa dal dibattito, quella tra immigrazione come realtà fisiologica della storia umana e flussi migratori incontrollati, compulsivi e organizzati dai trafficanti di vite. I secondi, come dice il presidente della Repubblica, non un sovranista alticcio e stordito dalla propaganda della Bestia leghista, vanno «governati». Serve la razionalità della politica, non i buoni sentimenti. Altrimenti, si mettono a rischio le stesse «ragioni umanitarie» rendendole impraticabili, e perfino i «sistemi statali», che per inciso o implicano dei confini o non sussistono, aggiungiamo noi.

 

 

 

 

 



INSICUREZZA - «Per fare questo», prosegue Mattarella, «dobbiamo affrontare le cause profonde della migrazione, in particolare l'instabilità e l'insicurezza di alcune zone dell'Africa, che richiedono soluzioni politiche sostenibili e uno sviluppo economico e sociale, condizione indispensabile per garantire opportunità alle nuove generazioni». Se volessimo fare i pierini della notizia, pur senza tradirla, semplificheremmo brutalmente: il presidente sta suggerendo di aiutarli a casa loro. Se anche non arriva lì espressamente, sta certo indicando l'altra faccia della medaglia, quella che non si prende mai le prime pagine dei giornaloni e le prime serate dei talk show: c'è un versante a monte dell'immigrazione incontrollata, prima ancora che da questa sponda del Mediterraneo ci si divida a valle tra accoglienza e rigore, ed è un versante tutto africano. Come scrisse Papa Benedetto XVI, «nel contesto socio-politico attuale, prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra». Il fatto che questa libertà fondamentale venga stracciata quotidianamente, solleva anzitutto gigantesche responsabilità della classe dirigente africana, ed è il tassello su cui Mattarella soprassiede. Tanto per stendere un elenco parzialissimo: ingenti aiuti internazionali destinati sempre a foraggiare dittatori e relativi clan al potere e mai impiegati per combattere fame e miseria, scarsissima diffusione della democrazia politica e quindi scarssime garanzie per i "non allineati" a vario titolo, controllo inesistente delle partenze (il tema riguarda strettamente la stessa Algeria, dalle cui coste muovono da tempo flussi parcellizati ma costanti di barchini verso la Sardegna), compromissione quando non coincidenza tra apparati "statali" e mafie scafiste, tribalismo esasperato con conseguenti e sanguinosi conflitti infiniti.

 

 

 

 

 



L'INCONTRO - In questo senso, l'affermazione del capo dello Stato durante l'incontro con l'omologo algerino Abdelmadjid Tebboune è probabilmente la meno intonata: «Penso che il destino dell'Africa e dell'Ue sia necessariamente comune». Un destino «necessariamente comune» possono condividerlo nazioni intrecciate da un cemento storico, valoriale, perfino letterario e artistico affine, come appunto quelle europee (e perla tenuta del suddetto cemento continua a non essere secondario quell'aggeggio chiamato cristianesimo, anche se è fuori moda dirlo). Il rapporto con l'Africa, che nessuno può negare in toto, tantomeno un Paese affacciato sul Mediterraneo, è materia laica, da gestire con la bussola della politica. E laicamente, portando in fondo alcune annotazioni presidenziali, possiamo dire che l'Africa non fa abbastanza per fermare l'immigrazione di massa. Forse, fa troppo per incentivarla.

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