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Migranti, perché i proclami della sinistra non aiutano i profughi

Juri Maria Prado
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Se la cosiddetta sinistra avesse un programma, un'impostazione, anche solo un'idea vaga su come gestire l'immigrazione in alternativa a ciò che propugnano, in modo abbastanza omogeneo, le formazioni di destra, sarebbe un conto. Gli slogan dei destri, e cioè "prima gli italiani", "basta pacchia per i clandestini" e "affondiamo i barconi", disegnano una politica che può piacere o no: ma quella è. Sul fronte opposto, i proclami dei sinistri, fulgidi di scemenze inclusive e vaporosi nell'indicazione degli strumenti rivolti ad attuarle, non alludono nemmeno a una politica buona o cattiva ma al governo del degrado: e cioè il fiorire delle piantagioni schiaviste del Sud, il dilagare delle baraccopoli dove la massa negra vive di stenti, di furto e delle briciole di un welfare straccione nell'attesa dell'ascensore sociale di marca progressista, vale a dire l'ottenimento della tessera sindacale buona a reclamare il diritto acquisito a non far nulla secondo quel bel protocollo democratico: il pluralismo parassitario. L'idea che sarebbe meglio dare libertà di lavoro a molti di quei poveracci e libertà di impresa a chi li assumerebbe, anziché tenere gli uni a raccattare pomodori all'ordine dei negrieri e gli altri sotto schiaffo di un esercito di burocrati che sorveglia l'iniziativa economica privata come se si trattasse di un esperimento anti-sociale, costituisce una pura bestemmia per le orecchie solidariste di quelli che vagheggiano il bel sistema ugualitario pagato non si sa come e non si sa da chi, aspettando il quale si allargano le braccia davanti al disastro corrente, colpa del razzismo, del capitalismo, del neoliberismo, colpa di tutto e di tutti, ma non di quelli che biascicano fesserie integrazioniste mentre tengono in piedi un ferreo meccanismo di ripudio delle assunzioni e delle regole di produzione che per gli immigrati è molto peggio di un porto chiuso.

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