Parma, città per eccellenza di formaggio e salumi esportati in ogni angolo del pianeta. Parma, che chi non va a sentire Verdi al Teatro Regio è considerato out dai melomani che riempiono i loggioni. Parma e il calcio, bello da morire quello di Nevio Scala che si permise in quattro anni di passare dalla serie B a vincere nel vecchio Wembley l’allora Coppa delle Coppe, strappando pure l’anno prima la Coppa Italia alla Juve. Parma coi soldi di Tanzi, dei fallimenti. Parma che riparte dalla D con l’azionariato popolare e rivede la massima serie con Pecchia in panchina.
È un nuovo inizio che sembra andare alla grande: pareggio con la Fiorentina e vittoria sul Milan. Poi il grande errore a Napoli proprio di Pecchia, arrivato a un passo dal salto di qualità e ritrovatosi invece a infilare una discesa senza ritorno (per lui): ducali in vantaggio ma sostituzioni finite troppo presto; Del Prato (leader della difesa e implacabile su Lukaku) spedito in porta (lui e non un attaccante!) al posto dell’espulso Suzuki; l’inevitabile pareggio proprio di Big Rom al 92’ e il gol-partita di Anguissa per i napoletani al 96’.
Colpo duro mai del tutto assorbito, tanto che il Parma finisce in zona retrocessione e lo stesso Pecchia a casa. C’è voluto il debuttante Cristian Chivu chiamato in panchina per cambiare la musica: vittoria col Torino, sconfitta immeritata a Udine con un rigore contestatissimo e poi piccoli grandi pareggi, gli ultimi con Inter e Fiorentina, con cui ha rischiato anche di vincere. Ma il capolavoro è stato nel mercoledì segnato dalla morte di Papa Francesco: stroncata la Juventus a caccia di un posto Champions grazie alla zuccata di Pellegrino. Ora la salvezza è davvero a un passo. Chivu sa far giocare i giovani, è un motivatore nato, il popolo crociato può tornare a sentire cantare non solo al Regio, ma anche al Tardini, i nuovi idoli Man, Bernabè, Bonny e Keita, i terribili ragazzi voluti dal presidente, il magnate americano Krause.