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Serie A, il grande flop dei patron stranieri nel nostro calcio
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Qualcuno dice che il calcio sia la più importante delle questioni meno importanti e ha torto: è la più importante tra le più importanti. Del resto, se state leggendo, è perché come il qui scrivente avete il cervello putrefatto dalle boiate pallonare, dalle deviazioni del tifo, dai risultati delle partite che - in Italia più che altrove alterano umori, rapporti, voglia di vivere. La premessa è doverosa e interessa gran parte della popolazione: sostenitori dell’Inter e del Napoli per quel che accadrà a partire dalle ore 18 di oggi, “colleghi” di Milan e Juve per quello che hanno dovuto inghiottire nel corso delle ultime settimane.
Ci si interroga sul perché dei floppissimi delle due grandi del calcio italiano e ognuno ha la sua spiegazione. La più reclamizzata in chiave rossonera suona così: «La proprietà americana è il vero problema perché, fondamentalmente, è lontana e se ne fotte». Parzialmente è così, perché la priorità del fondo non è quasi mai vincere, semmai stare in “zona incasso”, ovvero in Champions League.
Poi però tocca capire perché ci sono proprietà straniere che riescono a fare faville e altre che invece collezionano figure di palta in serie. La risposta è perfino banale: dipende a chi si affidano. Il Milan americano ha scelto di puntare su una dirigenza inesperta, acerba e che, a tratti (ma vai a sapere se poi è davvero così) risulta persino supponente.
Il Milan che tre anni fa vinceva lo scudetto ha scelto senza un vero perché di cacciare gli antichi reggenti e il risultato è sotto gli occhi di tutti: scelte sbagliate, investimenti pure. Patron Cardinale - criticatissimo - in realtà non ha lesinato, ma il guaio è che le decine di milioni sono state spese quasi sempre molto male. Hanno ammassato giocatori in quantità industriale, alcuni anche azzeccati, ma si sono dimenticati di costruire “la squadra”, entità suprema che va oltre i nomi sulla maglia e contempla la capacità di mescolare talento ed esperienza, fisicità e leadership. Il Milan ha tanti buoni giocatori (pure troppi) ma, quanto a carsima, in campo, si ritrova con quasi nulla. E la Juve pure.
La faccenda in casa bianconera è persino più incomprensibile. La Signora ha proprietà ultracentenaria e si è affidato a un manager d’esperienza e doti comprovate, Cristiano Giuntoli. Seda una parte cotanto dirigente ha iniziato a dare una sistemata ai conti (compromessi da annidi gestione sballata), dall’altra ha commesso l’errore dei suoi inesperti colleghi rossoneri: si è dimenticato totalmente che “comprare giocatori” e “costruire squadre” sono due concetti molto diversi. Chi è il leader carismatico della Juve di Thiago Motta? Non c’è. E come è possibile che si debba fare i conti con questa “siccità carismatica” dopo aver investito - tra estate e inverno - oltre 100 milioni di euro tra entrate e uscite (quasi 150 per i soli cartellini di Koopmeiners, Douglas Luiz e Nico Gonzalez)? È tutto francamente inspiegabile.
Ecco, il problema non è mai “da che parte del mondo arriva la proprietà del club X”, semmai “quanto sono capaci di scegliere le persone giuste”. La Roma in difficoltà ha capito che una iena come Claudio Ranieri poteva dare una raddrizzata e, toh, è riuscita a invertire la tendenza; il Como degli indonesiani ha puntato su un progetto certamente “ricco” ma anche da mister Fabregas alla fittissima rete di scouting - strutturato alla grande. I soldi sono una componente importantissima, è evidente, ma le idee e la competenza lo sono di più.
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