Juventus, Thiago Motta è ufficialmente un caso: rumors, ecco cosa può accadere
Thiago Motta si sta complicando la vita da solo in un modo sinistramente e paradossalmente simile a quello di Allegri, suo predecessore rievocato un giorno sì e - andando avanti così - l’altro pure. Sta intraprendendo una personale guerra contro il mondo circostante che non lo capisce, Thiago. Pensa che nessun interlocutore, sia esso di fronte a lui in conferenza stampa o in uno studio televisivo, abbia davvero compreso il suo lavoro alla Juventus, né si preoccupi di capirne le difficoltà.
Spesso risponde alle domande per non rispondere, limitandosi a frasi brevi, come se volesse sottolineare che lui è l’artefice mentre gli altri sono solo degli osservatori. Lo ha fatto anche Allegri negli ultimi due anni in bianconero, quando si autopromuoveva come paladino del calcio semplice, infastidendosi di fronte a ogni domanda inerente la tattica o la complessità del gioco. Se Thiago è l’antitesi di Max dal punto di vista di stile di gioco, in realtà ne è l’alter ego sul piano della comunicazione.
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ECCESSIVO
Se il nuovo mister tende ad appiattire i dialoghi fuori dal campo, in campo eccede invece nei pensieri, peccando di quell’overthinking di cui fu “accusato” Guardiola qualche anno fa. Non è che se McKennie gioca bene un paio di partite come terzino, tutti improvvisamente possono giocare terzini. Quindi azzardare Weah in quel ruolo come accaduto contro il Benfica è controproducente, soprattutto se dall’altra parte della difesa c’è già un giocatore adattato (McKennie, appunto). Un esperimento può anche andare bene ma due sono troppi in una squadra che non ha ancora trovato una formazione di base.
È come se Thiago Motta ogni tanto si perda negli affreschi del palazzo, quando ancora mancano alcune fondamenta solide. E mancano non solo per colpa sua ma anche perché metà del mercato non ha funzionato e molti giocatori che dovevano essere le basi si sono rivelati sbagliati.
Il problema per Thiago Motta è che l’ambiente attorno a lui inizia a essere in fermento (è puntualmente spuntato il #mottaout sui social). Gli ha dato credito ma ora comincia a sentirsi tradito. E fa strano che l’impazienza sia causata più da queste scelte ardite che non dai risultati altalenanti. A questi, il tifoso juventino si è abituato e ha capito che fanno parte del percorso, semmai non capisce perché questo percorso a volte venga complicato da chi lo dovrebbe semplificare. Il mister respinge questi borbottii con la sua comunicazione spiccia, facendo scudo, e fa bene, non potrebbe altrimenti sopravvivere, ma è inevitabile che possa perdere lucidità a lungo andare. D’altronde la Juventus è giovane sia nella rosa sia nel mister che è alla prima esperienza da allenatore in una grande con questo tipo di pressione.
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Che poi, se non ti aiuti, il dio del calcio non ti aiuta. Proprio quando sembrava aver recuperato una rosa quasi completa, Kalulu rimedia una lesione (di basso grado, da ricontrollare) che lo terrà fuori dai campi per un paio di settimane, e i centrali diventano di nuovo pochi: Veiga dovrà giocare subito al fianco di un peraltro pessimo (contro il Benfica) Gatti, oppure bisognerà abbassare Locatelli con la coperta che diventa corta in mezzo al campo perché Douglas Luiz (movimento in Premier ma nulla di concreto) e Fagioli (Fiorentina e Marsiglia interessate, ma solo in prestito) restano sul mercato.
E di nuovo le rotazioni sono impossibili con il rischio di altri Kalulu che arrivano al punto di rottura. Oltre alla ruggine nei muscoli, inizia a esserci quella nella testa: la squadra che va a prendersi i fischi senza Vlahovic e Douglas Luiz automaticamente altri pensieri all’allenatore che già di suo se ne crea troppi.