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Inter, di chi non si fida Simone Inzaghi: quel grosso guaio nerazzurro

Claudio Savelli
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L’Inter non può fare altro che imparare a perdere. O meglio, a imparare qualcosa da questa sconfitta amara e particolare perché contro il Milan, perché subita in rimonta e perché in una finale che, data la consapevolezza ormai raggiunta dai campioni d’Italia, si pensava fosse una specialità della casa. Il lato negativo e sinistro è che l’Inter tende a buttare via partite “sicure”, ovvero quando il margine di vantaggio è doppio: prima il 4-2/4-4 con la Juventus, ora il 2-0/2-3 contro il Milan. Il risvolto positivo è che due indizi fanno quasi una prova: la squadra “smette di giocare”, come ha ammesso capitan Lautaro subito dopo la gara, quando si sente padrona. Le cause di questo atteggiamento sono diverse. Un cocktail: c’è un pizzico di presunzione, c’è un innamoramento del modo di giocare, c’è un eccesso di gestione della propria fatica. L’Inter è una squadra così focalizzata su tutte le competizioni stagionali - alla faccia di chi dice che ne predilige una - da pensare alla partita successiva non appena si mette bene quella in corso, anche se è importante come un derby d’Italia o un derby di Supercoppa.

Sommando a tutto questo il fatto che la Supercoppa è posizionata a metà stagione, è qui e ora che l’Inter si gioca il resto. Questi giorni di analisi della sconfitta e di reazione alla stessa saranno decisivi perché si vedrà di che pasta è fatta la squadra. La scorsa stagione è filata via liscia, questa è un percorso a ostacoli. Sta per iniziare il ciclo di fuoco da 6 partite in 18 giorni decisivo sia per la Champions sia per il campionato e la rosa non è nelle condizioni ideali: Calhanoglu si è fermato per un problema al flessore destro, non quello che gli aveva già dato noia ma il sospetto è che debba fermarsi almeno due settimane, per De Vrij sembrano solo crampi ma sono un segnale di sovraccarico a cui fare attenzione. Anche Bisseck e Bastoni sono usciti dal campo con i muscoli tesi ed è evidente il motivo: i tre superstiti della difesa le stanno giocando tutte data la lunga indisponibilità di Acerbi (ignoti i tempi di recupero) e Pavard (potrebbe tornare in panchina contro il Venezia dopo un mese di assenza). Anche in attacco ci sono problemi: Thuram non è stato rischiato così come Correa che, però, quando serve puntualmente si fa male. Entrambi dovrebbero tornare a disposizione domenica ma il pensiero di non rischiarli in vista del recupero infrasettimanale contro il Bologna rimane.
La verità è che la rosa nerazzurra non è extra large o doppia (e trequarti) come si dice. È come le altre, da 25 giocatori di cui 22 di movimento, e con una differenza di livello tra titolari e riserve in alcuni ruoli, su tutti Calhanoglu-Asllani. Inzaghi fa quel che può nella gestione dello sforzo tra i giocatori e il motivo per cui alcuni ruotano meno è il dislivello di cui sopra. Ma ora deve rischiare per accorciare il gap, altrimenti le riserve perdono fiducia come è sembrato accadere a Frattesi e, nel momento del bisogno, non entrano con ritmo.

Nelle 5 partite di campionato precedenti a Riad, nessuno tra Zielinski, Asllani e Frattesi ha giocato titolare e questi i loro minutaggi sono stati rispettivamente di 0, 16, 16, 17, 0 minuti; 19, 27, 0, 10, 22 minuti; 0, 0, 1, 10, 9 minuti. Hanno giocato in Coppa Italia e in Champions League, quando Inzaghi ha rinunciato ad almeno nove titolari, comunicando che la gerarchia è quella e che nelle partite importanti non si tocca. Forse qualche carta va rimescolata.
Per prendersi tutto (il resto), l’Inter ha bisogno che tutti siano da Inter.
 

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