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Inter-Milan, la profezia di Evaristo Beccalossi: "Ecco chi sarà decisivo"

Leonardo Iannacci
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Quando parla di Inter usa il “noi”. Si sente ancora parte integrante della storia e della gloria di questo club e, domani, farà un tifo indiavolato per quella maglia nerazzurra che ha indossato dal 1978 al 1984. In un sabato mattina gelido come soltanto Milano può offrire a gennaio, stiamo con Evaristo Beccalossi, più delizia che croce della San Siro che amava la Beneamata (Gianni Brera dixit). Un’Inter che con lui, numero 10 frizzante come uno champagne che spesso dà alla testa, in campo festeggiò “solo” uno scudetto e una Coppa Italia.

Beccalossi, come vede la partita? Un derby che vale la Supercoppa.
«La vedrò... in televisione anche se mi piacerebbe un sacco essere in campo».

La sua Inter è favoritissima.
«Sulla carta. Nelle partite secche e, soprattutto, in un derby giocato lontano dal fascino di San Siro e fra le dune di Riad, tutto può accadere».

In tutta onestà le forze in campo non sembrano dispari?
«Questo sì, l’Inter di questi tempi è travolgente. La riprova? Se manca un titolare importante come può essere Acerbi, non pesa più di tanto la sua assenza. Ci sono due giocatori per ogni ruolo».

Merito di?
«Inzaghi e della società».

L’allenatore è il segreto di questa Inter schiacciasassi?
«Simone è sottovalutato. Pensare che due anni fa era stato messo in croce, invece ha creato un ambiente ideale per vincere. La squadra viene da un 2024 da favola».

Negli ultimi anni si è divertito con l’Inter?
«Parecchio, prima lo scudetto con Conte, poi la seconda stella, quindi Coppe Italia e Supercoppe. E ora la possibilità di iniziare il 2025 alla grande».

Diceva che una grande squadra non può prescindere di avere, alle spalle, una grande società?
«Esattamente, quello che Marotta e i dirigenti hanno fatto per tenere in bilico conti non certo belli dopo la gestione Thang è il segreto di questa Inter».

Il giocatore decisivo chi sarà?
«Penso Lautaro, anche se non segna sta giocando con e perla squadra. Però la zampata ce l’ha sempre in canna e lui ha già deciso altre finali».

E il simbolo in campo?
«È tutto il centrocampo, con Barella in testa».

Il Milan, invece, come ci arriva a questo primo crocevia dell’anno?
«Leggermente rasserenato da una semifinale vinta, e bene, in rimonta contro la Juventus».

Conceiçao è arrivato e ha graffiato subito.
«Dubito che tre giorni di allenamento abbiano segnato tatticamente la squadra, diciamo che quando arriva un nuovo allenatore c’è una naturale scossa nello spogliatoio. Scossa che ti elettrizza».

Ma questo Milan può davvero svoltare nel dopo-Fonseca?
«Presto per dirlo, è una squadra che alterna partite ottime come quelle contro l’Inter o a Madrid contro il Real, poi si siede».

Il giocatore da temere domani?
«Leao è in forse, quindi potrei dire Pulisic, ma il Milan ha tante frecce».

Eppure contro la Juve non ha incantato.
«Nel primo tempo è stato pessimo, poi Pulisic e Reijnders si sono rinvigoriti. Ma è stata la Juventus ha gettare dalla finestra la partita».

Troppi errori?
«Come già in altre occasioni ha buttato via il match-point nell’ultima porzione di una sfida che poteva e doveva gestire meglio».

Colpa di Motta?
«Lui ha in testa un’idea tutta sua di gioco ma vedo che fa sempre fatica. Dopo mesi non ha ancora saputo imporla completamente ai suoi giocatori che si abbandonano a errori fatali».

E l’Atalanta? Era arrivata qui a Riad con i favori del pronostico ma è naufragata malamente la semifinale. C’è una spiegazione?
«La Dea sta stupendo tutti in questi anni. E non sono d’accordo neppure con chi sostiene che il Gasp avrebbe dovuto far giocare contro l’Inter Lookman e De Ketelaere. I turnover, in questo calcio, sono comprensibili».
 

Nel suo calcio non c’erano, però.
«Sì, ma io giocavo un secolo fa!».

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