Milan, Giovanni Galli non ha dubbi: "Squadra irriconoscibile, Maldini manca tanto"
Giovanni Galli è stato il portiere del Milan più forte di sempre. Quello inventato da Silvio Berlusconi, quello che ha vinto tutto: scudetti, Champions, l’Intercontinentale e una pioggia di altri trofei. Una squadra stellare che abbagliava, ben diversa da quella che stasera (diretta su Canale 5, ore 20) vedrà incontrerà la Juventus nella semifinale di Supercoppa.
Galli, il suo cuore rossonero sta soffrendo?
«Non poco. Vedere il Milan in questa confusione mi fa male, speriamo le cose cambino con Conceiçao. Lo scopriremo già stasera».
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Quindi il problema era Fonseca?
«No, affatto. Lui è un buon allenatore e il progetto-Fonseca non ha funzionato per mille altri motivi. La gente si aspettava, la scorsa estate, l’arrivo di Conte o Klopp, Fonseca è parso subito quasi un ripiego».
Le sue colpe?
«Poche. È un bravo tecnico ma ha pagato l’incertezza che c’è in società».
In che senso?
«Mi faccia lei dei nomi e io rispondo».
Beh, Gerry Cardinale.
«È il proprietario, ma sa di calcio?».
Scaroni.
«È il presidente ma parla solo dello stadio».
Furlani.
«L’uomo che guarda i conti».
Ibrahimovic.
«Che ruolo ha? Grande calciatore, uomo carismatico ma cosa decide esattamente?».
Moncada.
«Ecco, lui conosce il mondo del pallone e dei giocatori. Ma in questo roster dirigenziale non ci ho ancora capito nulla».
Manca un Maldini.
«Manca Maldini, non un Maldini».
La gestione Fonseca?
«È stato destabilizzato a tal punto che Ibra gli ha chiesto scusa per averlo mandato in conferenza stampa da solo».
Ai tempi del suo Milan era tutto diverso.
«C’erano ruoli definiti: Berlusconi era Berlusconi e tutti lo ascoltavano sia quando dava una strigliata delle sue sia quando arrivava in spogliatoio e ci faceva complimenti. Per la verità durante i miei anni rossoneri ho avuto poche strigliate, vincevamo quasi sempre. Galliani, poi, era l’ad, Braida l’uomo del mercato, Sacchi l’allenatore, Ramaccioni il team-manager. Chiarezza, c’era l’indispensabile chiarezza».
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«È il calcio di oggi: il fondo acquista un club prestigioso non per amore ma per fare utili, il problema è che la preparazione calcistica e la successiva professionalità non si comprano al supermercato».
Torniamo al Milan appena nato con Conceiçao: il portoghese ha un compito complicato assai.
«Al Porto ha fatto bene, benissimo per le aspettative di quel club. Gioca un 4-3-3 che può trasformarsi in un 4-2-3-1».
Deve lavorare in profondità, però.
«La squadra è buona, non vinci a Madrid contro il Real o il derby contro l’Inter se non hai giocatori bravi».
Allora cosa è successo?
«Negli ultimi tempi si è manifestata questa decisa spaccatura fra la società e l’allenatore che ha creato caos, si sono verificati episodi assurdi con Theo o Leao. Fonseca è così: serio, leale ma fa giocare solo chi è in forma in quel momento».
Stasera contro la Juve che Milan vedremo?
«Mistero. Questi giocatori non hanno mai dato l’idea di assicurare continuità ai risultati. Vincevano a Madrid e poi si ingolfavano pochi giorni dopo in una partita semplice, magari a San Siro».
Obiettivi di questo Milan 2025, a questo punto?
«Un posto in Champions in campionato e un prosieguo europeo soddisfacente e all’altezza della storia di questo club. Può anche accadere che la Supercoppa generi sorprese».
Nel suo Milan c’erano poche incertezze, vero?
«Era una squadra solida, una macchina da guerra. Lo scudetto del 1988 lo vincemmo con nove italiani e due olandesi. Van Basten non giocò quasi mai».
Van Basten il più forte con cui ha giocato?
«A Napoli, dove andai dopo la fantastica esperienza al Milan, avevamo un numero 10 che si chiamava Diego Armando Maradona».
La sua partita speciale in rossonero?
“Forse a Belgrado quando parai due rigori alla Stella Rossa che ci consentirono il passaggio del turno in Coppa dei Campioni, poi vinta in finale 4-0 con il Barça».
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