Fonseca, i grotteschi ultimi minuti prima dell'esonero dal Milan: "Ibrahimovic?", parole sconcertanti
Passano poche decine di minuti tra queste dichiarazioni di Paulo Fonseca: "Se mi sento solido sulla panchina? Sì, perché non dovrei?" e "Sì, è vero, sono fuori". Un esonero annunciato, quello del tecnico portoghese del Milan, durato sulla panchina rossonera 200 giorni esatti. Si era salvato almeno un paio di volte, ma dopo la clamorosa sfuriata contro i suoi giocatori "svogliati" dopo il match di Champions vinto contro la Stella Rossa era ormai chiaro a tutti che qualcosa nello spogliatoio si era rotto. E la società ha smesso di difenderlo, forse mai convinta del tutto di una scelta che era apparsa in estate un ripiego, dal momento che la prima scelta era Lopetegui respinto a furor di popolo dai tifosi.
Una fine annunciata, insomma, visto che già domenica pomeriggio si era sparsa la voce semi-ufficiale dell'accordo tra il club guidato dall'americano Gerry Cardinale e un altro portoghese, l'ex Porto Sergio Conceiçao. Annunciata, ma al limite della farsa e della disorganizzazione. Al momento nessun dirigente ci ha messo né faccia né parola.
Fonseca prima si è seduto in sala stampa mostrandosi tranquillo, addirittura confidando di allenare la prossima settimana il Milan in Supercoppa italiana in Arabia. Poi, uscendo da San Siro in auto, davanti ai giornalisti ha ammesso la cacciata. Tutto surreale, quasi grottesco.
Fonseca esonerato, dramma in diretta: "Sì, è vero, sono fuori". Milan caos, chi arriva al suo posto
"Ho parlato con la dirigenza, è vero che sono fuori dal Milan", sono dunque le ultime parole di Fonseca da allenatore milanista. Prima, c'era stata una rivendicazione d'orgoglio sul lavoro fatto fin qui: "Non ho parlato con nessuno. Non è accaduto nessun confronto con Ibrahimovic. Se mi sento solido sulla panchina? Sì, perché non dovrei? Non ho parlato con nessuno". Quindi quella che ora, a cose fatte, sembra una chiamata di corresponsabilità ai giocatori e ai vertici societari: "Se mi aspetto di allenare il Milan in Supercoppa? Posso aspettarmelo, perché non ho nessun segnale del contrario. Adesso vado a casa, con la mia famiglia e riguarderò la partita e mi preparerò per lavorare domani. Se ho paura di essere il sacrificato? Mai nella mia vita - spiega - ho avuto paura di qualcosa nel calcio. La cosa più importante è avere la coscienza tranquilla, lavorare ed essere onesto con chi lavora con me e io ho la coscienza tranquilla per cui non ho paura". Non sono solo sue, dunque, le colpe di un fallimento tecnico e non solo.
Al di là della classifica deficitaria, ottavo posto a -8 dal quarto posto della Lazio e l'impressione di una continuità di rendimento impossibile, pesa infatti la gestione dei calciatori critica, con tanti senatori accantonati o messi in discussione (da Tomori a Rafa Leao fino al "caso" Theo Hernandez) e il lancio quasi schizofrenico di giovani come Camarda e Jiminez, prima "dimenticati" e poi schierati come ultima speranza. Una sensazione di precarietà e isterismo perenni, che contagi anche la dirigenza assente ingiustificata. O forse, proprio da lassù si deve partire per comprendere le ragioni di una crisi intuibile già dallo scorso giugno.