Milan, il problema è "americano": ecco perché esplode la rivolta dei tifosi
Il coro «Noi non siamo americani» ha molto senso. È una sintesi perfetta del distacco ormai siderale tra il Milan società e il mondo-Milan. La colpa di Gerry Cardinale non è essere americano, beninteso, ma comportarsi da americano nella gestione della società. Il che si traduce in: 1) essere lontani fisicamente, emotivamente e strategicamente dalla realtà del club e del calcio italiano ed europeo; 2) imporre una visione senza aver l’umiltà di studiare il contesto; 3) circondarsi di persone con lo stesso assetto mentale ma con uno scarso curriculum nel ruolo, come se il pregresso contasse poco o nulla; 4) non intervenire in corso d’opera ma aspettare fine stagione, con i report tra le mani e i risultati cristallizzati.
Il Milan avrebbe bisogno di: 1) un proprietario presente, dato che il management non riesce a rappresentare il club; 2) una visione più chiara e coerente con la sua storia; 3) una dirigenza esperta nei ruoli specifici di direttore generale, direttore sportivo, amministratore delegato di una società di calcio; 4) un intervento che prevenga il definitivo downgrade a squadra da Conference League o, peggio, esclusa dall’Europa al momento il Milan è ottavo a -8 dal quinto posto, teoricamente fuori da tutto, e venerdì c’è l’anticipo in casa di un Verona improvvisamente resuscitato.
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ARROGANZA
Cardinale è arrivato con l’arroganza di chine sa, spazzando via Maldini e facendo di testa sua, senza voler capire le dinamiche di un club di calcio in generale e di un club di calcio italiano ed europeo nello specifico. Si è fatto vedere poco e in quel poco che si è visto ha sempre parlato come un profeta che ha la soluzione per un Milan forte e un calcio italiano migliore. Infatti ha preso gente come lui, convinta di essere nata imparata: vedi Ibrahimovic (fischiato) ma anche Furlani (contestato) e Moncada (ignorato). Lo svedese fa il dirigente come faceva il calciatore; Furlani non è mai stato nel calcio prima del 2018, quando entrò nel Cda del Milan in quanto “portfolio manager” di Elliott, eppure è convinto di masticare la materia; Moncada è sempre stato uno scout, prima freelance e poi dentro le società, ma mai un direttore sportivo. Il fatto che la proprietà sia drammaticamente lontana dalla realtà milanista è testimoniato sia dall’assenza di Cardinale alla festa per i 125 anni del club, sia dalla festa stessa. Ci fosse stata più attenzione, non sarebbe stata fatta. L’unico mantra dei tifosi di qualsiasi club italiano ed europeo è che non si festeggia nel momento di crisi.
Invece il Milan ha organizzato un banchetto nel bel mezzo del periodo più delicato dell’ultimo lustro, con un allenatore che da settimane spara ai quattro venti, diversi giocatori che camminano in campo e una dirigenza che si comporta come se tutto andasse per il meglio. La festa è diventata un assist per farsi contestare dai tifosi (ieri sera alcuni ultrà hanno contestato la società con due striscioni davanti il locale dove si stava celebrando il compleanno rossonero, con cori contro Cardinale: «Devi vendere») e farsi umiliare dagli ex campioni che, dimenticandosi di essere stati invitati dal club, sono intervenuti qui e là per sottolineare che il Milan ai loro tempi era una società gloriosa. Non invitato Paolo Maldini che, in risposta, ha pubblicato proprio al triplice fischio un post di auguri con una postilla: «Nessuno potrà mai scalfire il tuo legame con la famiglia Maldini, la storia è memoria!». Disattento e spocchioso quindi contestato e preso in giro: questo è il Milan americano. Tutto il contrario di ciò che il Milan è sempre stato. Ecco perché i rossoneri, quelli veri, non sono americani.