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Milan, Paulo Fonseca attacca la società: lo hanno lasciato solo

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Paulo Fonseca è più intelligente e più ingombrante di quanto Ibrahimovic & Co. potessero immaginare. Volevano un aziendalista e si sono ritrovati uno che va contro l’azienda. Anzi, uno che in questo momento è l’azienda. Fonseca si è reso conto di essere solo al comando e ne sta approfittando con un’alzata di toni: lo sfogo contro l’arbitro post-Atalanta è stato il primo passo, quello contro la squadra post-Stella Rossa il secondo. Niente di improvvisato, tutto parte di una strategia perché, per l’appunto, Fonseca è intelligente. Molto intelligente.

Sa benissimo di aver firmato un contratto triennale. Si sente al sicuro: in caso di esonero potrà ragionare con tranquillità sul prossimo passo e ne uscirebbe anche tutto sommato pulito con un Milan che può arrivare nelle prime otto in Champions, percorso che lava i peccati di un campionato destinato a peggiorare. Il cambio di registro esclude le dimissioni che qualche tifoso ha paventato in queste ore: l’obiettivo del mister è stanare la dirigenza, verificare se è davvero con lui oppure se il sostegno è solo di facciata.

 

Lecito il dubbio ascoltando l’intervento di Ibrahimovic ai microfoni prima della sfida alla Stella Rossa: «Il mister era emozionato e non contento. Si è sfogato un po’ ma alla fine noi rispettiamo gli arbitri, non solo quelli che erano in campo ma tutti quanti». Se questo è «essere dalla parte dell’allenatore», come era trapelato qualche giorno fa, allora serve un corso accelerato di buon management. Il boss non aiuta nemmeno quando dice che «questo Milan è più forte di quello dello scorso anno» perché così, implicitamente, chiede al mister di migliorare un secondo posto. Quindi di puntare auno scudetto ormai irraggiungibile. O forse sottolinea il fatto che l’allenatore, pur con una rosa (secondo “il boss”) superiore, farà peggio di Pioli.

Fonseca ha percepito il cortocircuito e si è ribellato, ma il suo tentativo è andato a vuoto. Il fatto che ieri a Milanello nessun dirigente si sia presentato spiega perfettamente che tipo di gestione sia quella americana. Ogni figura è responsabile del suo comparto e, dentro il proprio perimetro, è libera di prendere decisioni, fare e dire ciò che crede. A fine stagione ne pagherà eventualmente le conseguenze. Vale anche per Fonseca che, a meno di rovinosi crolli, rimarrà al suo posto. Questo vuole lo stile aziendale americano.

Dunque, altro che summit e riunioni fiume per decidere il futuro del mister: ieri era giornata di festa del settore giovanile e non c’era spazio per altre questioni. A margine va anche detto che Fonseca non si sta aiutando. Anziché lamentarsi dell’impegno dei giocatori - pratica pericolosa che di solito anticipa la definitiva spaccatura -, avrebbe potuto segnalare che la rosa è stata costruita malissimo. Invece dice che il suo impegno è massimo ma, nonostante questo, non ha né una formazione che funziona né lo spogliatoio in mano.

Di sicuro non lo aiutano nemmeno i leaderini (capitan Calabria, Theo, Maignan e Tomori gli indiziati) a cui importa di sé più che del bene comune. Fonseca si consola con un Leao dalla sua parte, un Thiaw che gli dà ragione e intanto prepara la sfida al Genoa (domenica sera) senza Loftus-Cheek (lesione del bicipite femorale: due settimane) e Morata (trauma elongativo: una settimana), oltre a Pulisic. Un uomo sempre più solo al comando di ciò che resta del Milan.

 

 

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