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Edoardo Bove, il cuore "fuori giri". Cosa c'è dietro, le aritmie non sono tutte uguali

Francesco Fedele
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Normalmente il nostro cuore batte regolarmente. Il ritmo viene assicurato da un pacemaker naturale o segnapassi che si chiama “nodo del seno” e si trova nel cuore, più precisamente nell’atrio destro. Quando il ritmo non è più regolare, ci troviamo di fronte a quelle che chiamiamo aritmie. In questi casi i sintomi che possiamo avvertire sono rappresentati dalle palpitazioni che si manifestano come “tuffi” al cuore, sensazione di battito mancante, sfarfallii in mezzo al petto accompagnati o meno da capogiri o senso di mancamento. Ma attenzione, le aritmie non sempre sono espressione di una patologia cardiovascolare: si possono verificare in un cuore perfettamente sano e possono essere indotte da stress, forti emozioni, disturbi gastroenterici o endocrini (vedi per esempio casi di funzionamento anomalo della tiroide).

Se in questi casi le aritmie rappresentano una innocente follia del cuore, più spesso sono invece una spia di malattie cardiache. Vediamo di fare un po’ di chiarezza. Possiamo avere delle aritmie che provocano un abbassamento dei battiti cardiaci (aritmie cosiddette ipocinetiche), legate prevalentemente a una patologia del sistema elettrico cardiaco, che nei casi più gravi portano all’impianto di pacemaker. Esistono poi tutta una serie di aritmie che provocano un aumento dei battiti cardiaci (aritmie ipercinetiche). Responsabile dell’aumento della frequenza cardiaca sono le extrasistoli, vale a dire dei battiti in soprannumero (extra) rispetto a quelli indotti dal suaccennato segnapassi fisiologico (nodo seno atriale). L’origine di questi battiti può essere localizzato negli atri che sono le due camere cardiache al di sopra dei ventricoli oppure nei ventricoli stessi.

 

 

 

La causa più frequente delle extrasistoli atriali è l’ipertensione arteriosa, che provoca danni a livello cardiaco compromettendo inizialmente proprio le cavità atriali. Usualmente queste aritmie sono facilmente controllabili con adeguata terapia antiipertensiva e antiaritmica. Più impegnativa è la condizione chiamata fibrillazione atriale: in questi casi, il ritmo cardiaco è completamente alterato con numero di battiti particolarmente alto. La diagnosi si fa attraverso l’elettrocardiogramma, che mostra la totale alterazione del ritmo cardiaco. Di per sé la fibrillazione atriale, a differenza della fibrillazione ventricolare di cui parleremo tra breve, non è una aritmia di per sé pericolosa, anche se compromette la funzione di pompa del cuore che, permettetemi l’analogia con il motore, va “a tre cilindri”, impedendo un’attività fisica normale. La pericolosità nasce dal fatto che i pazienti con questa aritmia sviluppano trombi nella cavità atriale che possono staccarsi, entrare in circolo e provocare, se occludono arterie cerebrali, ictus con gravissime conseguenze rappresentate da paralisi ed invalidità. Di qui l’importanza di riconoscere questa aritmia e di intervenire con farmaci anticoagulanti per evitare la trombosi. Se i farmaci non sono efficaci nel ristabilire il ritmo normale, detto ritmo sinusale, possono essere indicati la cardioversione elettrica o l’ablazione.

 

 

 

Un capitolo aparte è rappresentato dalle aritmie ventricolari, che originano come detto dai ventricoli e possono essere provocate dalle più svariate patologie cardiovascolari (cardiopatia ischemica, miocardiopatie, miocarditi, anomalie del sistema elettrico cardiaco ecc.), per cui estremamente importante è la diagnosi della loro causa per il più adeguato trattamento. La forma più grave di aritmia ventricolare è la fibrillazione ventricolare, caratterizzata da attività elettrica caotica che impedisce la contrazione del cuore e porta all’arresto cardiaco.

In questi casi l’unico intervento efficace è rappresentato dalla defibrillazione elettrica mediante defibrillatore. Attualmente esistono defibrillatori automatici e semiautomatici che collegati a piastre da applicare sul torace del paziente riescono a fare diagnosi dell’aritmia: se individuano fibrillazione ventricolare, in modo automatico o semiautomatico, erogano la scarica per riportare il cuore al suo ritmo normale. Estremamente importante, di fronte ad un soggetto con malore che si accascia al suolo senza coscienza, è l’uso del defibrillatore per fare diagnosi della causa del malore e intervenire con la defibrillazione in caso di fibrillazione ventricolare. In attesa del defibrillatore, devono essere attuate le manovre di rianimazione cardiopolmonare rappresentate dal massaggio cardiaco, che può assicurare una certa funzione di pompa cardiaca in attesa della defibrillazione.

 

 

 

Aritmia ventricolare gravissima anche se meno grave della fibrillazione ventricolare è la torsione di punta, di cui abbiamo recentemente sentito parlare in occasione del malore presentato dal calciatore Bove. In questo caso, anche se il paziente è incosciente, ancora si mantiene una certa attività di pompa del cuore: nel caso specifico, la diagnosi di tale aritmia è stata effettuata in ambulanza con successivo uso del defibrillatore che è riuscito a ristabilire il ritmo con conseguente ripresa dell’attività meccanica cardiaca e successiva lenta risoluzione del quadro clinico inizialmente drammatico. A oggi non sappiamo ancora con certezza le cause che hanno portato alla grave aritmia che ha colpito il giovane calciatore.

Comunque, la vicenda Bove ancora una volta sottolinea l’importanza dell’utilizzo di tutte le metodiche diagnostiche a disposizione per la valutazione completa della normalità o meno dell’apparato cardiovascolare e la assoluta necessità di tempestività nelle manovre di rianimazione cardiopolmonare con l’impiego anche direttamente sul campo del defibrillatore.

del professor Francesco Fedele
Responsabile riabilitazione cardiorespiratoria San Raffaele Montecompatri 

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