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Lele Adani, tifosi in rivolta contro il tele-urlatore: "Quando lo sento cambio canale"

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Daniele Dell'Orco
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Lunedì scorso, al crepuscolo dell’ultimo, interminabile episodio di Viva el fùtbol, il programma -web erede della BoboTV rifondato dagli ex calciatori Adani, Cassano e Ventola, “Lele” ha deciso di rispondere indirettamente agli articoli di Libero, proiettando sullo schermo un numero: l’866. Visto l’orario, qualche minuto prima della mezzanotte, i meno giovani si saranno sfregati le mani pensato al prefisso di qualche hotline vietata ai minori. Ma il Victor Hugo Morales de’ noantri ha lesto sgombrato il campo da ogni equivoco per sfoderare l’eloquio retorico che l’ha reso famoso.

Quel numero, 866, corrisponde ai calciatori che almeno una volta nella vita hanno avuto il privilegio di indossare la maglia della Nazionale italiana di calcio. Con questo preambolo, cioè volendo ricordare a tutti coloro, Libero compreso, che ne ricordano una certa mediocrità calcistica, Adani ha voluto sfoderare la sua coda di paglia rivendicando «con orgoglio di essere iscritto ad un club super-esclusivo» e di non essere stato poi così scarso e, in definitiva, di avere i titoli per poter commentare le gare di altri eletti come lui con tutto il pathos che lo contraddistingue. Come esergo, ha detto: «Avrei potuto dirlo ad inizio puntata ma ho scelto di farlo alla fine». Una premessa che sa di beffa perché, se avesse davvero sfoderato quest’acrobazia in apertura, ci avrebbe innanzitutto evitato tre ore di soporifero dibattito sui capricci di Dusan Vlahovic o sulle capacità gestionali dei proprietari della Roma, e di incursioni negli altri sport (MotoGp, tennis etc.) o nelle loro, poche, prodezze nel Padel.

 

 

CORAGGIOSO
E poi, introducendo l’argomento ad inizio puntata, sarebbe stato un pelo più coraggioso. Per almeno tre ragioni. La prima: ci avrebbe dato modo di fargli notare in diretta qualcosa che nemmeno un egomane potrà mai negare, cioè che i calciatori non siano solo numeri, e che fa una certa differenza essere Paolo Rossi o, con rispetto parlando, Christian Molinaro. La seconda: va bene il pathos, ma se persino uno dei mostri sacri del calcio italiano, Dino Zoff, proprio dalle nostre colonne, gli ha ricordato che le urla dovrebbero restare appannaggio dei tifosi e non dei commentatori, forse potrebbe evitare di considerarsi unico depositario del sentiment azzurro incomprensibile da noi poveri sfigati. La terza: concedendo spazio alle repliche degli altri ascoltatori, magari qualcuno gli avrebbe chiesto lumi nei commenti in diretta. E allora avrebbe dovuto raccontare tutta la storia del dissing con Libero, fin dall’inizio e al gran completo, comprese le inopportune offese in privato mosse al nostro giornale e al bravo collega Savelli, reo di non apprezzare troppo le sue telecronache da prefica. Anche perché la lista di giornalisti, ex calciatori e addetti ai lavori di opinione analoga è lunghissima. Comunque, siccome il mantra della religione laica dell’adanismo è «viva el fùtbol» e «il calcio è della gente», ci pensiamo noi a porre rimedio alla pavida scelta della chiusura ad effetto. Abbiamo deciso infatti di raccogliere qualche feedback del comune cittadino tra i tanti circolati sul web in queste ore. I canali social di Libero ne sono pieni, così come quelli di altri portali che hanno fatto riferimento al suddetto dissing. Storniamo, per coerenza stilistica, gli immancabili hater che insultano il quotidiano fondato da Vittorio Feltri per partito preso e senza aver nemmeno letto i contorni della vicenda, così come gli odiatori dello stesso Adani, perché non sarebbero abbastanza imparziali. Ma per il resto c’è una fronda soverchiante di quanti, da spettatori della rete pubblica, le telecronache di Adani semplicemente non le sopportano. Il barometro della critica schizza fino al soffitto tra quanti scrivono «quando lo sento cambio canale o tolgo l’audio», o «non capisco perché dovrei contribuire a pagare questo signore con il mio canone», o ancora chi lo ritiene «troppo presuntuoso» e «insopportabile».

COMPETENZA
Per carità, tutto è relativo. Tra gli utenti non mancano quanti ne apprezzano la competenza e le capacità analitiche (quando non vengono sostituite dagli strilli). Anche tra questi, però, c’è chi ritiene che ad Adani il”"personaggismo” stia sfuggendo di mano. Antonio Fiore su “Barbadillo.it”, riprendendo i nostri pezzi, scrive: «Lele ti vogliamo bene, ma basta, così si esagera. Infine, ci sono coloro che non si aspettano «lezioni di stile» da un foglio noto per la sua «scorrettezza» come Libero. Ma proprio per questo la nostra testata non s’è mai formalizzata sul galateo né abbandonata al turpiloquio privato. Quando si sceglie di andare sopra le righe, ci si espone a delle critiche. Alcune circostanziate, altre meno. Per quale ragione ciò non dovrebbe valere anche per l’Osho del pallone? Adani, da buon emiliano, ha scelto di recitare il ruolo del “rivoluzionario”, del “capopopolo”, del telecronista che non scende a patti col “sistema” (ma che dal sistema viene pagato talmente bene da potersi permettere di rinunciare alla panchina dell’Inter). Ebbene, ad una buona fetta di quel popolo che, per auto-investitura, intenderebbe rappresentare, lui non piace. A giudicare dai nostri commenti, se volesse mandare reprimende via sms ad ognuno dei detrattori non gli basterebbero le Pagine Bianche.

 

 

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