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Gigi Buffon, il periodo più buio e la scelta radicale: "Ne sono uscito rifiutando i farmaci"

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La depressione, una brutta bestia. Ne hanno sofferto diversi calciatori: Alvaro Morata, Adriano, ma anche Gigi Buffon, che ha ricordato la patologia nella lunga intervista al Corriere della Sera condotta da Aldo Cazzullo. Tutto iniziò dopo la finale di Champions a Manchester, nel 2003, persa ai rigori contro il Milan. “Era la fine del 2003, il campionato era cominciato bene, poi cominciammo a perdere colpi e stimoli — il racconto dell’ex portiere di Juve e Psg — Eravamo reduci da due scudetti di fila: dopo l’up, il down. Mi si spalancò davanti il vuoto. Cominciai a dormire male. Mi coricavo e mi prendeva l’ansia, pensando che non avrei chiuso occhio”.

Depressione che poi si manifestò anche in campo, durante un Juve-Reggina di campionato: “Ebbi un attacco di panico — ha raccontato ancora Buffon — Sentivo una pressione al petto, non riuscivo a respirare, pensai che non avrei mai voluto essere lì e non avrei mai potuto giocare la partita”. La partita si svolgeva nel vecchio Delle Alpi: “Andai dall’allenatore dei portieri, che era un grande: Ivano Bordon — ha detto Gigi — Lui mi tranquillizzò: ‘Gigi, non devi giocare per forza’. Ripresi fiato. Guardai scaldarsi il secondo portiere, Chimenti, che è un mio carissimo amico. E pensai che ero davanti a una sliding door, a un passaggio decisivo della mia carriera, della mia vita”.

 

 

Così Buffon si analizzò dentro di se: “Mi dissi: ‘Gigi, se tu non entri in campo stavolta, crei un precedente con te stesso. Magari ti succederà una seconda volta, e poi un’altra ancora. E non potrai più giocare’ — ha proseguito nel suo racconto l’ex portiere, oggi capo delegazione della Nazionale — Così entrai in campo. Feci subito una buona parata. Che salvò il risultato, perché poi vincemmo 1-0. Ma il problema rimaneva. Il dottor Agricola fece la diagnosi, poi confermata dalla psicoterapeuta: depressione”. Buffon ne è uscito “rifiutando i farmaci — ha concluso — Ne avrei avuto bisogno, ma temevo di diventarne dipendente. Dalla psicoterapeuta andai solo tre o quattro volte, ma mi diede un consiglio prezioso: coltivare altri interessi, non focalizzarmi del tutto sul calcio”.

 

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