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Angelo Binaghi "cavalca" Jannik Sinner: come vuole superare anche il calcio

Leonardo Iannacci
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Diceva Federico Fellini: i più realisti, alla fine, sono i sognatori. Angelo Binaghi, presidente della Federazione Tennis&Padel, ingegnere nato sotto il segno del Cancro 64 anni fa a Cagliari, sta vivendo giorni da imperatore. Attimi che sognava già nel 2001, allorché venne eletto presidente della FIT e il suo sport- poverello e senza campioni - non viveva l’attuale era dorata nella quale un fuoriclasse come Sinner traina l’intero movimento e tutto il mondo ammira l’Italtennis. A tal punto che le prestigiose Finals appena vinte da Jannik si disputeranno in Italia fino al 2030, un risultato ottenuto grazie all’appoggio dell’Atp a dispetto di rivali (Arabia e Giappone) che avrebbero strapagato per ospitare il torneo dei maestri. Ma ha vinto il fascino dell’ItalSinner.

Durante l’impero di Angelo Binaghi il tennis italiano è innegabilmente cresciuto come mai era successo prima, frutto all’inizio dell’incredibile esplosione di ragazze d’oro (Schiavone e Pennetta), poi del ciclone Sinner che ha sparigliato tutto diventando un formidabile pifferaio magico per altri bravi topolini: Berrettini a parte, ecco Musetti, Sonego, Arnaldi, Darderi. Ricordando questi traguardi, Binaghi ridacchiava dopo la premiazione delle Finals torinesi e lo faceva mentre Jannik ringraziava il mondo dopo l’ennesimo trionfo. Dietro quella coppa alzata al cielo, l’ingegnere di Cagliari si godeva i frutti di una strategia iniziata anni prima, quando sognava di trovarsi a dirigere un grande tennis italiano e voleva farlo da padrone.

 

 

Tennista di buon livello negli anni ’80 con due argenti alle Universiadi, poi dirigente a Cagliari e infine numero 1 della FITP, Binaghi è stato furbo a fiutare il talento di Sinner già nel 2019, quando il rosso di Sesto vinse le Finals Next Gen inaugurando una carriera leggendaria. L’organizzazione sempre più piramidale che ha dato alla federazione e l’uscita dall’orbita intellettuale del Coni per scostarsi dal suo primo nemico politico, ovvero Giovanni Malagò, ha reso Binaghi un presidente primus inter pares nel pianeta tennis dove è stato rieletto con un’elezione bulgara (93% dei consensi) solo timidamente contestata dalla base.

L’ingegnere vuol fare tutto da solo, il problema per gli altri è che lo fa bene e, negli anni, ha sempre dimostrato di centrare i problemi: l’incremento di ragazzi che si iscrivono ai circoli per imitare Sinner, l’incredibile indotto di mezzo miliardo di euro realizzato a Torino, la crescita degli Internazionali di Roma e l’ammirazione che il mondo riversa verso il lavoro delle FITP sono solo gli ultimi blitz che gli hanno fatto dire: «Stiamo vivendo un rinascimento del tennis italiano, oggi ha una visibilità non raggiungibile dagli altri sport».

Nel 2025 Binaghi non mira a diventare il presidente del CONI al posto del rivale Malagò: «Sono stato in Giunta per anni ma era solo un comitato di approvazione di delibere già proposte. Non mi interessa», ha detto. La nuova scommessa è quella di fare del tennis il primo sport in Italia e superare per indotto e interesse il calcio. Non è detto che non ce la faccia questo ingegnere al quale sono spesso riusciti più dritti che rovesci e che, avuta la certezza delle Finals in Italia fino al 2030, ha trovato modo di ringraziare per prima chi? Giorgia Meloni. «Gestisco una federazione che è un’azienda con un fatturato tre volte superiore a quello del CONI», ha poi aggiunto da sognatore fin troppo realista. Qual è.

 

 

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