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Inter-Napoli, due mister all'opposto: Inzaghi contro Conte

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Pasquale Guarro
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Tornare gli farà un bell’effetto, allora chissà cosa avrà provato andandosene immediatamente dopo quello scudetto vinto. In conferenza stampa Antonio Conte ha affrontato il suo passato con toni dolci, evitando di ricordare quanto di tossico si fosse generato soprattutto dopo l’ultima stagione di complessa convivenza: «È bello tornare dove ho lavorato per due anni e vinto. Quella all’Inter è stata una bellissima esperienza che porto dentro di me come tutte le altre che ho vissuto al massimo». Parole che sembrano tradire addirittura un pizzico di nostalgia, anche se poi il tecnico salentino è un reattivo, uno che non si ferma a piangere sul cosa avrebbe potuto essere “se solo non avessi agito d’istinto”.

E allora forse c’è anche un pizzico di invidia verso chi ai tempi accettò di sedere su quella panchina, correndo un rischio dal quale Conte aveva preferito invece scappare via. Quindi vai a capire se poi quella carezza giunta dalla conferenza è più una mano tesa o invece una strategia per togliere pressione al suo Napoli: «L’Inter è la squadra più forte, hanno lavorato benissimo e oggi sicuramente si mettono in una posizione un po’ più alta rispetto a tutte le altre. Va dato loro merito, hanno fatto un grande lavoro, dirigenti, allenatore e calciatori. Comunque non andremo a Milano per aspettare e prendere cazzotti, ma per cercare di fare la partita».

 

 

I complimenti sono arrivati puntuali, ma Simone Inzaghi non è mai stato nominato neanche una sola volta e forse questo è un indizio su quello che è il vero Conte pensiero, che affiora a tradimento dietro quella che è sembrata una maschera indossata per l’occasione. Perché tra Inzaghi e Conte non ci sono mai stati screzi ma chi naviga in certi ambienti sa che però tra i due non sia mai neanche esistita chissà quale affinità. Il mondo del calcio è un condominio di mura sottili dalle quali filtrano bisbigli, e allora è possibile che il vicino senta, o che in qualche modo venga a sapere. E diciamo che Inzaghi e Conte sono praticamente stati dirimpettai nel momento dell’avvicendamento sulla panchina nerazzurra.

Nella stretta di mano di domenica sera ci sarà anche questo, il non detto che però tutti sanno o che quantomeno hanno intuito, il segreto di pulcinella che a un certo punto è anche giusto venga a galla. Filosofie diverse a confronto, da una parte l’ossessione ai dettagli e alle giocate preconfezionate di Conte, parecchio criticato negli anni milanesi per l’assenza di un piano alternativo; dall’altra quella di Inzaghi, esaltato per la collettività della manovra e per la qualità del gioco espresso, visto che mai i nerazzurri avevano divertito come hanno saputo farlo sotto la gestione del tecnico piacentino. Il primo ha costruito una mentalità vincente e riportato l’Inter ai vertici con l’ausilio di un mercato faraonico (oltre 200 milioni): Lukaku, Barella, Hakimi, Eriksen, Sensi e altri elementi a corredo. Il secondo, invece, ha ereditato una situazione complessa, con una mezza smobilitazione in atto: via Lukaku e Hakimi, perso Eriksen per i problemi che tutti conosciamo.

Da quattro anni a questa parte l’Inter fa mercato a saldo zero o con un “più” davanti al bilancio, ma nel frattempo i nerazzurri hanno giocato una finale di Champions e vinto tre Supercoppa, due Coppa Italia e uno scudetto, quello della seconda stella. Un percorso che Conte non ha neanche voluto provare a immaginare visto che quando gli è stato spiegato che per il bene del club sarebbe stato necessario vendere qualche pezzo pregiato, se n’è andato sbattendo la porta. Insomma, è chiarissima sia la fotografia del passato che quella del presente. Il futuro invece è la partita di domani che mette in palio i tre punti e quella sana voglia di competere e prevalere sull’altro: Conte vuole confermare quello che molti ancora pensano, ovvero di essere ancora un allenatore di un altro livello. Inzaghi invece vuole ribaltare definitivamente quella che ritiene essere una convinzione superata dai fatti.

 

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