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Novak Djokovic, un doloroso appello: "Che fine non devi fare"

Leonardo Iannacci
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Il momento del ritiro dalla scene resta uno dei più difficili da accettare se, alle spalle, si ha una storia che è già leggenda. Lo è in ogni settore della vita, nello sport soprattutto perché troppo densa è la voglia di continuare, di non arrendersi agli anni che passano che ti fanno biologicamente meno pronto, più confuso, lucido il giusto, quindi timoroso di sbagliare allorchè i muscoli non rispondono agli impulsi del cervello. Nole Djokovic è il tennista più vincente di tutti i tempi. Ha totalizzato 24 Slam per non parlare delle Finals dominate (7), dei tornei (99), della Coppa Davis, dell’oro olimpico che, dopo assalti falliti, è riuscito a carpire al Roland Garros, battendo la gioventù di Carlos Alcaraz e i dolori al ginocchio. Quel giorno, avvolto dalla bandiera serba e in lacrime per l’emozionante trionfo, si sentì di nuovo re. E invece, nel prosieguo della stagione ha perso: partite, sicurezza, forza e morale. È finito sesto nel ranking e di ieri è la notizia del ritiro dalle Finals che iniziano domenica a Torino.

Lo scorso anno le dominò, a 37 anni e mezzo ha invece realizzato che sarebbe stata una cima dolomitica troppo irta per il fisico. «Mi rivedrete l’anno prossimo», ha aggiunto. Ci auguriamo sinceramente di no e per una serie di motivi che proviamo ad analizzare. Il primo: Djokovic ha battagliato contro tutto e contro tutti. Essenzialmente, da quando è apparso nel circuito, contro i due satanassi che si dividevano la gloria: Roger Federer e Rafa Nadal. È stato il terzo incomodo, li ha sfidati, ha perso e poi molto ha vinto. tanto da superarli negli Slam (24, come detto, contro i 22 di Rafa e i 20 di King Roger). Il secondo motivo: che bisogno ha, alla sua età e fiaccato nel fisico, di continuare a giocare e a perdere contro due che sono la proiezione temporale di Federer e Nadal?

 

 

Ovvero il nostro magnifico Sinner che l’ha battuto tre volte nelle ultime tre uscite (ieri, a Torino, Jannik si è allenato a lungo contro il norvegese Nicolai Kjaer), e lo stesso Alcaraz contro il quale si è infranto per il secondo anno a Wimbledon. I due rispettano il vecchio leone con ammirazione, ma lo battono. Il terzo motivo: già nel 2018 Nole aveva detto basta, i guai al gomito lo avevano portato a pensare che nulla sarebbe stato come prima. Aveva 31 anni, era uscito dalla Top 10 è pensò di essere arrivato quasi ai box. Invece la moglie Jelena lo convinse che nulla era perduto. Difatti tornò e rivinse tutto. Da vero serbo. Il quarto motivo: gli ultimi anni dei rivali di sempre, Rafa e Roger, sono stati sinceramene malinconici. Federer ha mollato tutto due anni fa quando si è reso conto che non poteva andare nel suo giardino preferito, Wimbledon, e perdere malamente nei quarti contro il polacco Hurkacz.

Nadal, litigando con il fisico che è andato via disfacendosi, ha dato vita a una versione triste del campionissimo che ha vinto 14 Roland Garros, annunciando l’addio un mese fa. Il quinto motivo: Nole non segua la sorte dei due grandi avversari di un tempo. Chiuda adesso con il tennis. Glielo chiediamo da appassionati di questo sport che è agonismo e intelligenza, freschezza e strategia, bellezza e violenza, talento e sublimazione di un’arte che è quasi un balletto se espresso ai massimi livelli. Doti che Nole non ha più come un tempo. Ci lasci l’immagine del cinico serbo che ha vinto Slam come nessun’altro ed esca di scena al momento giusto come hanno insegnato Platini nel calcio, Tomba nello sci, Prost in Formula 1, Agostini nelle moto. Non si trascini per il campo, quelle scene ce la risparmi. Saluti da numero 1, quale rimarrà.

 

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