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Milan, il silenzio del club su Paulo Fonseca (e le pesantissime indiscrezioni su Leao)

Claudio Savelli
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Qualche giorno fa la società Milan, nelle vesti di Furlani, avrebbe gentilmente chiesto a Paulo Fonseca di recuperare il patrimonio Rafael Leao ma lui avrebbe altrettanto gentilmente respinto la richiesta. Decido io se, come e quando rimetterlo in campo, questa è stata più o meno la risposta. E, in linea di principio, è sacrosanta: quando un allenatore esegue alla lettera le richieste della società, non è più un allenatore. È anche sacrosanto lasciare in panchina Leao per ricordargli che non è diointerra, il punto è perché lo fai. Se lo tieni fuori per inviare un segnale, ecco, lo hai fatto. Se invece vuoi farlo fuori del tutto allora è un altro discorso e ci sta che la società ti chieda di non sperperare un patrimonio economico, oltre che tecnico. La panchina contro il Napoli - un big match in cui i migliori dovrebbero giocare dall’inizio dato che sabato c’è una sfida molto più morbida al Monza e martedì il Real Madrid non è più un segnale ma un accanimento. Una battaglia personale di cui Leao non è altro che il capro espiatorio. Ecco perché la dirigenza dovrebbe esporsi in pubblico, cancellando dalla mente dei tifosi l’impressione che ci sia un clima teso all’interno e che la definitiva crisi di nervi sia imminente.

Fonseca, da uomo solo al comando quale è, va ripetendo che Leao non è un caso. E invece lo è. Lo è per forza quando all’improvviso metti in panchina il giocatore su cui hai investito per il futuro. Il punto non è negare l’evidenza ma saperla gestire, il che comprende spiegare le ragioni della scelta e magari tornare sui propri passi una volta che questa risulta inefficace. È evidente che Fonseca veda in Okafor un calciatore più funzionale al calcio che ha in mente fatto di fraseggio, squadra alta, riaggressioni e dominio del campo e del pallone, ovvero l’habitat più ostile per uno come Leao.

 

SACRIFICIO
Il fatto è che così non mette il giocatore più forte che ha, o uno dei più forti che ha, nelle condizioni di rendere. Semmai lo sacrifica sull’altare della sua idea. Un grande allenatore fa il contrario, identifica i più forti e crea una struttura affinché rendano al massimo. Visto che c’è stato Milan-Napoli, prendiamo Antonio Conte che pur di sistemare i migliori ha rinunciato al suo modulo preferito e disegnato un 4-3-3 che non aveva mai usato prima.

In un Milan che vuole controllare il pallone nella metà campo avversaria, fraseggiare nel breve, aggredire subito dopo aver perso il possesso, Leao è di troppo. Il punto è che il Milan, per giocare così, avrebbe avuto bisogno di una rivoluzione profonda nel mercato estivo, non di quattro aggiunte. Avendo Leao, ma anche Theo, Reijnders, Pulisic, pure i nuovi Morata e Fofana, dovrebbe giocare in transizione. Lo ha fatto nel derby e... ha vinto. Ma Fonseca sta forzando il cambiamento per lasciare il segno e, se bisogna sacrificare qualcuno, si parte da Leao, il meno versatile dei giocatori del ciclo precedente.

Ma, non avendo comunque gli ingredienti per completare nel breve questa metamorfosi, ottiene risultati altalenanti. Nelle tre partite senza il portoghese tra i titolari è arrivata una sola vittoria (1-0 con l’Udinese), a fronte di una sconfitta (0-2 contro il Napoli) e di un pareggio (2-2 contro la Lazio) in cui lo stesso Leao ha segnato l’unico gol in campionato con soli 20’ a disposizione.

Che poi sono anche i migliori giocati dal portoghese che aveva recepito il senso della panchina e reagito. Poi quell’effetto è sfumato e si è trasformato in un accanimento che ha portato 5 sconfitte e 2 pareggi in 12 partite stagionali. A volte è facendo un passo indietro che si fa un balzo in avanti. Fonseca è ancora in tempo, ma non è detto che sia d’accordo.

 

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