Kenan Yildiz, i 30 minuti da fenomeno con cui zittisce i critici: perché ora cambia tutto
Diciannove anni, la 10 sulle spalle e la prima stagione da titolare, fino a prova contraria. Ovvero Inter-Juventus che inizia dalla panchina e può sembrare una bocciatura, invece Kenan Yildiz entra e spacca la partita. Ha mezz’ora a disposizione ma la squadra è sotto di due reti e i nerazzurri sono nel momento migliore, stanno spingendo per trovare il gol che chiuderebbe una partita pazza. Ma, appunto, la partita è pazza, può cambiare in un amen. Basta capirlo e crederci. Yildiz entra dimostrando di averlo capito benissimo. Un po’ perché gliel’aveva pronosticata Thiago Motta, che proprio stavolta aveva rinunciato a lui dall’inizio, e un po’ perché l’intelligenza è una dote sempre più importante in un calciatore, anche se da quassù tendiamo a dimenticarcene.
Mancava il turco dell’Inter, allora il palcoscenico se lo prende il turco della Juventus, Yildiz. Qualcuno (di troppo) aveva già cominciato a rompergli i santissimi perché non segnava. Solo una rete in Champions ma ancora nulla in campionato nonostante sette gare da titolare su nove. E lui che ha fatto, da ragazzo intelligente quale è? Se ne è fregato. Le prestazioni di Yildiz sono sempre state di spessore da inizio stagione, a prescindere dalla posizione in cui Thiago Motta lo ha schierato, a volte larghissimo, altre più centrale, altre ancora nei mezzi spazi.
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PARTICOLARI
È da questi particolari che si giudica un giocatore, non dai numeri, non dai gol. È anche da come approccia a un ingresso così complesso come quello al Meazza, dove lo scorso anno, proprio in questa partita, fu schierato titolare da Allegri a sorpresa e fallì, giocando 66’ incolori, da fantasma. Un giocatore si giudica anche da cosa ne fa dei fallimenti, pur piccoli, come l’Inter-Juventus dello scorso anno. Yildiz sembra esserselo appuntato per non ripeterlo mai più: stavolta deve entrare con la massima ferocia per incidere, anche perché ce n’è la possibilità.
Non si direbbe dai due gol di svantaggio ma Yildiz capisce che l’Inter non è più quella ermetica dello scorso anno. C’è spazio per ballare e allora si balla. Il turco va a prendersi lo spazio sul centrosinistra, stoppa in corsa, la aggiusta con il tacco, sembra volteggiare sul terreno di gioco, punta Dumfries ma, anziché andare sul destro come tutti si aspettavano, si defila e calcia di mancino a incrociare. E poi, di nuovo: il turco capisce che la difesa interista pasticcerà sul cross e allora si defila e si fa trovare dal pallone. Un saggio di tecnica e intelletto.
Yildiz è un faro in mezzo al caos della partita, ma non è quella luce della gioventù, dell’incoscienza, no, è fatta di consapevolezza, lucidità, maturità. Si può essere esperti anche a 19 anni e quando si dice il contrario è perché il giocatore è scarso, o comunque non è bravo quanto Yildiz. Gliene hanno dette di tutti i colori: «Non può fare l’esterno», «È un mezzo giocatore», «La maglia è troppo pesante per lui». Promemoria alla superficialità con cui di solito si legge il calcio questo e anche l’iniziale panchina voluta da Thiago Motta. Non era una bocciatura, era strategia.
Inserire Yildiz nell’ultima mezz’ora quando l’Inter si sarebbe scomposta, avendo giocato un giorno dopo in Champions e denotando fin da inizio stagione qualche problema di distanze tra i reparti e diverse leggerezze. Poi, certo, si possono fare tutte le strategie possibili e immaginabili ma poi sono i giocatori che fanno la differenza. Sono gli Yildiz. È Yildiz. Perché uno così, a 19 anni, è unico e raro.