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Theo Hernandez "mi ha violentata sul Cayenne e lanciata in strada"? Come scoprono la menzogna di Luisa

Luca Puccini
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Forse è la fine del “Me too” o forse è che doveva andare così perché sì, le violenze sessuali e le avance non richieste (peggio ancora, rifiutate) sono un comportamento da stronzi, però no, farne un calderone unico, gridare al mostro, ingigantire un caso che in realtà manco c’è, non è da meno. Rischia il carcere, ora, Luisa Kremleva, la modella e influencer spagnola, che a Madrid è pure un volto noto della televisione, per aver accusato (ingiustamente) il calciatore del Milan Theo Hernandez di stupro. Voleva trascinare il difensore rossonero in tribunale, epperò alla sbarra, ora, ci si ritroverà da sola e per un reato che nel nostro ordinamento si potrebbe definire di “calunnia”. La vicenda è del 4 giugno del 2017 (ché anche la giustizia iberica, in fatto di lungaggini, mica scherza): prima della pandemia, prima della Brexit, prima della guerra di Putin e, in sostanza, una vita fa. In un periodo in cui si era ancora nel pieno del “Me too”, appunto.

Una discoteca di Marbella, nel sud della Spagna, e due versioni diametralmente opposte. La prima (quella di Kremleva) che racconta una violenza subita, fuori dal locale e a bordo di una supercar, una Porsche Cayenne, la stessa macchina di Hernandez dalla quale, tra l’altro, la ragazza sarebbe stata spinta via una volta concluso lo stupro, tanto che per la botta si sarebbe ferita a un ginocchio. La seconda spiegazione (quella del calciatore) che nega risolutamente, che parla di un rapporto però consenziente, che sostiene di essersi rifiutato di tornare a casa con lei e che non ci sta a passare per mascalzone. Nel mezzo il girato delle telecamere di sorveglianza della discoteca, che frame dopo frame riprendono l’influencer da sola, che cade da sola, che si ferisce da sola. È così che la magistratura della Costa del Sol prende la sua (duplice) decisione: archivia la denuncia di stupro e avvia un’inchiesta sulla ragazza che avrebbe agito «maliziosamente». Il processo a suo carico si aprirà a fine mese (il 28 ottobre) e con una richiesta di due anni di carcere e una multa di circa 14.400 euro. Tra l’altro Kremleva non si è limitata ad agire per vie legali (come si dice in gergo), ma ha spialletato tutto a favor di telecamere (in un’intervista al rotocalco spagnolo Vanitatis è arrivata a dire: «Mi piacerebbe che Theo si scusasse con me, è il minimo che merito»).

 


Il minimo che merita Hernandez, invece, è che questa storia si concluda in fretta perché un conto è un’incomprensione tra amanti (magari occasionali, ma quelli son fatti loro: il milanista oggi è felicemente fidanzato con un’altra influencer, Zeo Cristofoli) e un altro è la gogna per una denuncia (falsa tuttavia) pesante come quella di stupro. Ne deve sapere qualcosa anche il collega- attaccante della Fiorentina Albert Gudmundsson che giusto ieri si è ritrovato finalmente assolto da accuse assai simili, mossegli da una donna più di un anno fa, per “cattiva condotta sessuale”. Il primo grado della giustizia islandese lo ha graziato, per una vicenda pressoché fotocopia rispetto a quella di Hernandez. Cambiano i luoghi e i tempi ma i fatti restano più o meno gli stessi: Reykjavik (al posto di Marbella), l’estate del 2023 (al posto di quella del 2017), dopo una serata (non si sa se esattamente fuori da una discoteca ma poco di manca) e il racconto di una ragazza che denuncia una violenza. Lui, Gudmundsson, si dichiara senza colpa fin dal principio: però se ne sta alla larga, non interviene, non commenta nemmeno quando la Federcalcio del suo Paese lo lascia fuori dalla rosa dei convocati della nazionale perché è il regolamento interno e non si discute, e adesso il verdetto (che è appellabile entro l’8 novembre, stando alle procedure islandesi) gli dà ragione. «Vorrei esprimere che non sosterrò mai alcuna forma di violenza», si sfoga, ora, sui social il viola, «come padre di due bambini, tra cui una figlia piccola, e avendo tre sorelle minori, spero sinceramente che questo caso non causi alcun danno ad altre donne che sono vere vittime di violenza».

 

 

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