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Inchiesta Inter-Milan, penalizzazione in classifica: cosa rischiano i club

Alessandro Dell'Orto
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I tesserati di Inter e Milan coinvolti nell’inchiesta ultras- quella che ha portato all’arresto di 19 capi della tifoseria organizzata nerazzurra e rossonera - rischiano, nella peggiore delle ipotesi, una squalifica di qualche mese. È difficile invece che i due club - per quanto emerso finora - incorrano in penalizzazioni di classifica. «Ovviamente per valutazioni più precise bisognerebbe conoscere nei dettagli gli atti dell’indagine - spiega Paco D’Onofrio, 53 anni, professore universitario e avvocato esperto del diritto dello sport -, ma il punto di partenza è che le norme del diritto sportivo impongo ai tesserati e alle società di non avere rapporti diretti coni tifosi, tipo contribuire alle trasferte o finanziare i biglietti dello stadio. Questa è una regola storica della Figc».

Di telefonate e incontri, però, in questa inchiesta ce ne sarebbero stati, secondo le intercettazioni, e sarebbero direttamente coinvolti gli interisti Milan Skriniar (ora al Paris St-Germain), Nicolò Barella, Hakan Chalanoglu, Simone Inzaghi (l’attuale allenatore), Javier Zanetti (vicepresidente) e il milanista Davide Calabria. «Ma c’è una dettaglio che fa la differenza - chiarisce D’Onofrio - Se i contatti sono occasionali o passivi, cioè se un tesserato viene chiamato al telefono, non c’è responsabilità diretta. E la stessa cosa accade per un incontro fisico, se il contesto è un luogo di aggregazione tipo un ristorante. In questi casi non c’è illecito». Tutto, cambia, però, se l’atteggiamento di giocatori o allenatori nei confronti dei tifosi diventa attivo.

 

 

«In queste situazioni non esiste un minimo e un massimo della pena, perché il diritto sportivo dà ampio margine di discrezionalità al giudice, ma il risultato potrebbe essere di un’ammenda, una squalifica di qualche mese o entrambe». E i club? Loro, in realtà, rischiano poco. «Se viene dimostrato che i contatti dei tesserati sono isolati e non reiterati, le società non hanno responsabilità e non vengono coinvolte. In caso contrario invece rischierebbero dei punti di penalità, ma questa è un’ipotesi molto remota che finora non si è mai verificata».

Certo qualcosa potrebbe cambiare, però, in base agli sviluppi che prenderà la vicenda (ieri gli ultrà convocati per gli interrogatori di garanzia si sono avvalsi della facoltà di non rispondere) per la giustizia ordinaria. Perché la Procura di Milano, nella richiesta di custodia cautelare per gli ultrà milanisti e interisti arrestati nel maxi blitz che ha svelato gli affari illeciti, le violenze, il patto tra le due curve e le pressioni sui club da parte dei capi degli ultras, ha spiegato che l’Inter, «quando si rapporta» con Marco Ferdico, capo ultrà appena finito in carcere, «e in particolare cede alle pressioni» di quest’ultimo, che vuole «ottenere» altri biglietti, «di fatto finanzia» lui e gli altri ultras.

«Il problema per FC Internazionale- si legge- pare porsi soprattutto sotto un profilo organizzativo: si tratta infatti di rimuovere quelle “situazioni tossiche” che hanno creato l’humus favorevole perché un ambito imprenditoriale sportivo si trasformasse, in fin dei conti, in occasione di illecito, non potendosi certo pensare che il quadro delineato possa essere spiegato facendo esclusivamente riferimento alla personalità perversa di singole persone». E nemmeno si può «ragionevolmente pensare», spiegano i pm, «che il problema possa essere risolto solo rimuovendo le figure apicali o semi apicali» senza «nulla mutare del sistema organizzativo». Questo perché «inalterata l’organizzazione, “i nuovi venuti” si troverebbero nelle medesime condizioni (tossiche) dei loro predecessori e il sistema illecito sarebbe destinato a perpetuarsi».

E ancora. Nell’Inter «vi è una sorta di cultura di impresa, cioè un insieme di regole, un modo di gestire e di condurre l’azienda, un contesto ambientale intessuto di convenzioni anche tacite, radicate all’interno della struttura della persona giuridica, che hanno di fatto favorito, colposamente, soggetti indagati per gravi reati che sono stati in grado di infiltrarsi nelle maglie della struttura societaria». Sempre nella richiesta di custodia cautelare i pm analizzano anche il comportamento dell’Inter nei mesi scorsi e i rapporti, per esempio, con la Commissione comunale antimafia, che «sottovalutò totalmente il fenomeno indotta in errore da Fc Inter». Il riferimento è alle audizioni del 15 marzo scorso, in Commissione antimafia del Comune di Milano, di due responsabili del club nerazzurro.

Le dichiarazioni rese, sostengono i pm, attestano «ancora una volta la totale sottovalutazione del fenomeno qui investigato e il completo scollamento dalla realtà dello stadio, non senza considerare alcune omissioni in mala fede». Non solo. I legali dell’Inter, si legge ancora, il 30 aprile hanno depositato «una memoria» dove si limitavano «a ripetere» ciò che era stato detto «in sede comunale». Memoria, però, da cui emerge, scrive la Procura, «un dato di interesse: il Presidente della commissione comunale antimafia» con una email del 28 marzo «ha riferito a FC Internazionale che l’audizione ha “mostrato l’azione positiva di FC Inter”», una cosa smentita «dai fatti» e che «comprova ancora una volta una totale sottovalutazione del fenomeno» anche da parte della Commissione comunale. In più i pm fanno notare anche che l’Inter ha assunto una «duplicità di atteggiamento: uno rivolto all’interno, dove le regole organizzative vengono pretermesse, e l’altro rivolto all’esterno, dove le medesime regole sono oggetto di formale ossequio».

 

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