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Inter, il "fattore" che spiega la crisi del Milan: occhio a questa foto

Claudio Savelli
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Nell’Inter quattro italiani saranno titolari, ed è il minimo di questi tempi. Trattasi di Acerbi, Bastoni, Dimarco e Barella. Di solito sono cinque perché Darmian viene preferito a Dumfries, ma stavolta Inzaghi vuole sfruttare l’onda lunga dell’olandese contro Theo Hernandez che di difendere ultimamente non ne vuole proprio sapere. In più c’è Frattesi che è il titolare aggiunto, oltre che uomo imprescindibile nella Nazionale di Spalletti. Nel Milan ci sarà un solo titolare italiano, Gabbia, favorito a sorpresa su Pavlovic per affiancare un Tomori protetto da non si sa quale santo. Calabria è affaticato e non ci sarà, ma era comunque sfavorito su Emerson come terzino destro.
Dunque se nell’Inter è la regola avere italiani in campo, nel Milan è l’eccezione.

E se gli azzurri nerazzurri sono tutti protagonisti, gli italiani rossoneri quali Sportiello, Terracciano e Florenzi sono secondari. In questo momento di crisi rossonera, questa è "la" differenza: nell’Inter c’è un blocco nazionale capace di trasmettere valori e identità, nel Milan non esiste un nucleo in grado di tenere la barra dritta, di capire il club e i tifosi, di assumersi la responsabilità dei risultati, di fare da ponte tra l’esterno e l’interno.

 

 

 

ESTEROFILIA

A questo va aggiunto l’allenatore che nel Milan è diventato straniero, Fonseca, portoghese, dopo gli anni con Pioli che quantomeno compensava all’esterofilia, mentre Inzaghi nell’Inter riesce a dare espressione alle sue idee e a quelle della dirigenza con cui è in simbiosi. La dirigenza, ecco: anche qui ci sono enormi differenze. Ibrahimovic e Moncada, i due decisori sul piano tecnico nel Milan, non sono italiani, e tra loro e lo staffe la squadra sembra esserci un notevole distacco, mentre Marotta, Ausilio, Baccin, Antonello compongono una dirigenza locale, nostrana ed... esperta.

 

 

 

Il derby (alle 20.45, diretta Dazn) mette a confronto due filosofie di gestione della società e costruzione delle rose opposte. E va notato come il punto di partenza sia il medesimo, ovvero una proprietà straniera che, da qualche mese, è per entrambe americana, seppur anche in questa ci siano delle differenze: nel Milan il potere converge verso una sola persona, Gerry Cardinale, fondatore del fondo Red Bird che detiene il club, mentre Oaktree non ha imposto il padrone sull’Inter, bensì ha inserito diverse figure dirigenziali (Alejandro Cano, Katherine Ralph, Renato Meduri, Carlo Ligori, Delphine Nannan: due su cinque peraltro italiani) dando più un senso di squadra che collabora con quella già presente. Se Oaktree ha rispettato l’impronta data da Marotta per cui l’Internazionale è diventata anno dopo anno sempre più Inter-Nazionale, al contrario dell’esterofilia che vigeva nell’era-Moratti, Red Bird ha cancellato la coppia Maldini-Massara che agiva da radice per il club, allontanandosi definitivamente dal Milan che con Berlusconi e Galliani al comando formava un blocco di italiani dopo l’altro.

 

 

 

Poi è ovvio che un derby è un derby, una storia a parte: «Servirà un’altra prova gigantesca – dice Inzaghi -. Non dovremo pensare ai sei derby di fila vinti» e semmai caricarsi del fatto che sette sarebbero un record assoluto. Fonseca, di contro, dribbla il destino dicendosi «fiducioso per tre fantastici giorni di allenamento», al punto da convincersi a proporre un 4-4-2 ancor più offensivo del solito proprio nel derby. Sembra il più classico degli all-in: o fa il pieno di fiducia o saluta definitivamente il tavolo.

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