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Milan, Sarri e Allegri? Un patto col Diavolo: le indiscrezioni dalla società

Claudio Savelli
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Sarri e Allegri sono di nuovo uniti da un filo invisibile. Dopo le lotte scudetto, dopo il subentro del primo al secondo nella Juventus, dopo le frecciate e frecciatine che da bravi toscani si sono tirati a vicenda, sono le due mine vaganti della panchina. I due grandi nomi in attesa della chiamata giusta. Un tempo i loro telefoni ribollivano di chiamate di grandi club. Ora arriva solo spam, roba di secondo piano da mettere in stand-by. Perché la prossima mossa sarà quella decisiva per le loro carriere, rapidamente scivolate in uno stato polveroso, che sa di passato più che di futuro. Se la sbagliano, addio al calcio di primo piano. Se la azzeccano, e azzeccarla significa prendere una squadra adatta alle loro caratteristiche in cui sono in grado di fare bene, vi rientrano a pieno titolo.

Avessero voluto andare in Arabia o giù di lì, ci sarebbero già andati. Se sono rimasti alla finestra è perché credono di poter rientrare dalla porta principale, ovvero una grande di serie A. Anni fa non avrebbero mai accettato un incarico in corsa, piuttosto sarebbero stati fermi per un anno come ha fatto Sarri dopo l’esperienza alla Juventus o due come Allegri dopo il primo quinquennio in bianconero. Ma ora non possono più permettersi di fare gli schizzinosi. Il loro appeal è calato e la concorrenza è agguerrita, se è vero che Tudor è il terzo incomodo pronto a batterli sul tempo grazie a richieste di ingaggio più contenute che ai club schifo di certo non fanno.

Sarri ha rilasciato qualche intervista in questi mesi, ammettendo «la voglia di tornare» magari «prima di gennaio». Al Milan? Inutile nascondersi, «la rosa rossonera è forte», come a dire che sì, accetterebbe di corsa, pur nel rispetto del collega Fonseca. Allegri, invece, è sparito dalla circolazione e, considerando il trambusto nel finale della scorsa stagione e lo stress accumulato, ha fatto benissimo. La loro assenza dalla scena è figlia di una rivoluzione in corso in tema di panchine: meglio un mister che ha il meglio davanti a sé piuttosto che uno che l’ha già offerto.

Una virata motivata dal fallimento degli ultimi esperimenti con i grandi nomi come appunto Sarri, Allegri e mettiamoci anche Mourinho. Sanno che, per rimettersi in gioco, devono essere più umili, aggiornare qualche idea e adattarsi a rose costruite da altri. E, per i club in difficoltà, potrebbe non essere un male prenderli ora che hanno una motivazione in più piuttosto che mesi fa quando erano svuotati e, forse, frustrati: dimostrare che nel calcio del presente c’è ancora posto per chi sembra appartenere al passato.

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