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Parigi 2024, in ballo non ci sono soltanto i "diritti": la boxe mondiale vale 32 miliardi di dollari

Tommaso Lorenzini
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Il “caso Khelif” esploso a Parigi è stato rapidamente etichettato come un attacco ai diritti delle donne e alle identità di genere tout court, orchestrato secondo i media progressisti da una fantomatica azione di propaganda russa: sia contro la pugile algerina, sia contro uno dei criteri di fondo di questa Olimpiade parigina, l’inclusività, che è stata ben riassunta con l’incredibile rappresentazione dell’Ultima Cena alla cerimonia inaugurale. In realtà, dietro il polverone alzato dal giallo sui cromosomi maschili di Khelif, si staglia una battaglia economico-politica ben più concreta, più radicata e sostanziosa.

Nel 2023, il Comitato olimpico internazionale ha revocato definitivamente il riconoscimento alla Iba (International boxing association), accusata di nomine irregolari dei giudici di gara, di pratiche di riconoscimento degli atleti scorrette e pure di ricevere finanziamenti dalla Gazprom, azienda energetica legata a filo doppio al Cremlino. «Serve una nuova federazione entro le Olimpiadi del 2028», ha avvisato il Cio. Il motivo sta nel fatto che la Iba (alla quale era affiliata anche l’Italia fino a dieci giorni fa) si occupa di pugilato dilettantistico (il suo bilancio aggiornato al giugno 2023 parla di poco più di 12 milioni di euro di fatturato, quasi altrettanti di uscite e 221mila di guadagni: cifre non iperboliche), quello dei boxeur eleggibili per le Olimpiadi e la minaccia è stata “lasciate l’Iba o niente Giochi”.

 

 

Ovvio che togliere gli atleti a una federazione è colpirla nell’asset principale e, sebbene come detto i numeri della Iba come associazione non siano stratosferici, il tutto va inserito in un contesto globale che inquadra il pugilato come un’industria ricchissima, dove per ogni pugno sferrato la “macchinetta segna-soldi” batte un colpo. Il report Worldmetrics 2024, appena pubblicato, spiega infatti che le ultime stime danno il mercato globale della boxe proiettato verso i 32,82 miliardi di dollari entro il 2026. Diritti di trasmissione, organizzazione, location, ingaggi, abbigliamento: da tutto questo e molto altro origina una simile cifra. L’evento pay-per-view medio di un grande incontro genera un ritorno per 60-70 milioni di dollari (il record lo ha fatto segnare il match Mayweather-Pacquiao del 2015: 4,6 milioni di acquisti singoli), il costo per un biglietto di una riunione di alto livello va dai mille ai cinquemila dollari.

Non stupisce che proprio uno come Floyd Mayweather (campione WBC in cinque categorie differenti di peso) abbia superato il miliardo di dollari di guadagni in carriera. Ma attenzione perché il movimento non si limita ai grandi nomi e tanti soldi. Dagli sfavillanti Stati Uniti, al feroce Messico fino alle tradizionali Inghilterra ed Europa, le terre di pugilato si stanno allargando all’Oriente e anche al Medio Oriente (l’Arabia Saudita del principe Bin Salman è molto attiva nell’accaparrarsi tornei con nomi di spicco), tanto che la base di appassionati è stimata in circa 188 milioni di persone. Un dato che corrobora, sostiene e garantisce un futuro alla piramide del movimento.

Inoltre - e qui ci leghiamo a Parigi - la boxe femminile sta salendo alla ribalta con un aumento delle professioniste dal 2013 di ben il 65% (senza scordare la grande presa della Fit Boxe, programma di allenamento di grande successo fra le ragazze). Chiaro perciò come il caso Khelif vada ben oltre la questione olimpica e si inserisca in un contesto economico-politico dove i pugili, le loro storie e le loro capacità sono la calamita per organizzatori, pubblico, sponsor. Tradotto: guadagni. La penetrazione della boxe nel tessuto sociale mondiale è dunque davvero estesa, il rapporto Worldmetrics stima che il contributo all’economia globale sia di oltre 20 miliardi all’anno, con le vendite di attrezzature che dovrebbero raggiungere gli 1,4 miliardi di dollari entro il 2025.

Negli ultimissimi anni, in più, la tecnologia ha contribuito drasticamente a permettere agli appassionati di fruire del pugilato praticamente ovunque. «La crescita delle piattaforme di streaming online ha aperto nuove fonti di reddito per la boxe, con aziende come Dazn ed Espn+ che trasmettono incontri in diretta aun pubblico globale», recita il report, «circa l’87% degli appassionati di boxe guarda gli incontri su piattaforme digitali, evidenziando il passaggio verso i servizi di streaming online» e «la crescita degli eSport ha portato alla nascita di tornei di boxe virtuali, attirando una nuova generazione di fan».

 

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