Parigi 2024, ma quale grandeur: le novità delle Olimpiadi sono già viste...
“Ti spiezzo in due”. Ve lo ricordate Ivan Drago, il bionico pugile sovietico che in Rocky IV manda al creatore il vecchio campione Apollo Creed, ostinato a voler combattere nonostante l’evidente disparità fisica, un uomo contro una macchina? Era il 1985, quasi quarant’anni fa, tempi di fervente e anticipatore dibattito nel rapporto tra il naturale e l’artificiale, prime avvisaglie su una nuova versione del mito di Frankenstein, lo scienziato che crea in laboratorio una nuova creatura tutta muscoli e istinto, novello Prometeo, 1818, per il proprio delirio di onnipotenza.
Tutto ciò che nelle intenzioni creative suonava da provocazione, effetto choc, estetica strabordante ed eccessiva, in realtà sa di già visto e stravisto, datato e superato. Per salvare la pessima scenografia di Thomas Jolly c’è chi ha scomodato il teatro d’avanguardia e l’arte contemporanea, certo territori più adatti rispetto a una manifestazione sportiva, adatti all’esibizionismo sfrenato. Ma anche in questo caso stiamo parlando di un’estetica in voga oltre trent’anni fa.
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Nel 1992 Jeffrey Deitch curò la mostra Post Human, passata in Italia al Castello di Rivoli, dove la trasformazione artificiale del corpo fu introdotta come una nuova frontiera per determinare in anticipo sessualità e caratteri identitari. Un paio d’anni dopo l’artista americano Matthew Barney cominciò il ciclo di film Cremaster, trionfo dell’immaginario freak, faunesco, dove lui stesso interpretava figure androgine dalla sessualità multipla e volutamente incerta. Performer come Orlan e Stelarc provarono a trasformare il proprio corpo e per quanto riguarda il teatro ricordiamo piece trasgressive e trasversali messe in scena da La Fura dels Baus e in Italia da Societas Raffaello Sanzio.
Quello proposto da Jolly all’inaugurazione delle Olimpiadi e spacciato come nuovo è un compendio visivo sugli anni ‘90. Va bene che all’epoca era un bambino, però i testi si studiano, e non si può spacciare per nuovo qualcosa che si conosce da tempo ed è già storia e pure superata. Anche la questione Imane Khelif non profuma esattamente di attuale. Per questo atleta discepolo di Ivan Drago, fin troppo sotto la luce dei riflettori di uno scandalo annunciato e voluto da organizzatori più adatti a spettacoli circensi che sportivi, si pone un problema analogo, all’ennesima potenza, di quello che coinvolse le nuotatrici della Germania Est negli anni ‘70.
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Le competizioni olimpiche fin qui hanno previsto la divisione tradizionale tra uomini e donne, che fino a prova contraria rappresentano la maggior parte della casistica nel mondo. Un atleta di quella potenza da laboratorio non può sfidare una donna, seppur muscolosa e preparata perché qua non siamo al cinema ma su un ring dove si rischia la vita. Messaggi che al Cio, agli organizzatori delle carnevalate parigine proprio non arrivano. Lo spettacolo innanzitutto, più è iperbolico e grandguignolesco meglio è. Con l’aggravante di spacciare per nuovo, come il linguaggio del Terzo Millennio, qualcosa che sa di vecchio lontano un miglio, come se tutti fossero dei gonzi ignoranti e disinformati.
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