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Parigi 2024, il cibo fa schifo agli atleti: cosa servono al villaggio olimpico

Claudio Savelli
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 Thomas Ceccon, oro olimpico nei 100 dorso, ha detto che nel Villaggio Olimpico «si dorme poco, fa caldo e si mangia male». Le tre cose che ogni atleta dovrebbe fare quando non gareggia sono riposare, svagarsi e nutrirsi- non si possono fare. L’azzurro ha poi specificato che 1) «Questi non sono alibi» e 2) «Li abbiamo più o meno risolti», ma l’organizzazione baguettara aggiunge un buco nell’acqua all’acqua della Senna. Perché dall’inadeguatezza del Villaggio dipende il decadimento di molte prestazioni, ovvero il senso stesso delle Olimpiadi.

Il rischio del caldo era noto perché l’organizzazione ha deciso di bandire i climatizzatori nel Villaggio fin dal progetto iniziale. Era uno dei modi per raggiungere l’obiettivo di dimezzare le emissioni rispetto a Rio 2016 e Londra 2012. Alla fine è stato concesso ai singoli Comitati di attaccare alla corrente dei climatizzatori portatili, i cosiddetti “pinguini”. Anche la questione “letti” era annunciata. Il problema non è la struttura di cartone ma i materassi: ad alcuni atleti sono capitati quelli assemblati di plastica riciclata che non stanno insieme. La Svezia si è fatta spedire un lotto di materassi da Ikea. Sulla qualità del cibo, invece, il Comitato aveva rassicurato a più riprese. Ci hanno creduto, infatti i primi giorni erano tutti in mensa con un certo entusiasmo. E sono iniziati i problemi.

 

 

 

Code lunghissime per piatti scadenti. C’era da aspettarselo. Non è banale far da mangiare a 15mila persone per tre volte al giorno, per una media di 40mila pasti giornalieri, figuriamoci far da mangiare bene, dove il concetto di “bene” è relativo visto che i commensali provengono da 206 paesi diversi. In più va considerato che si tratta per lo più di atleti, con esigenze alimentari specifiche. E che tra gli atleti stessi ci sono enormi differenze. L’incarico di un’impresa oggettivamente impossibile è stato assegnato alla multinazionale di casa, la marsigliese Sodexo, che dal 1966 si è imposta in tutto il mondo con le mense. Anche in Italia ha vinto appalti per diversi scuole e ospedali pubblici. Le recensioni - anche online - sono ampiamente negative: «i bambini tornano a casa e segnalano cibo con la muffa, non cotto, freddo, immangiabile», «nelle mense scolastiche ci sono bidoni pieni di cibo scartato».

È la divisione Sodexo Live! a occuparsi del Villaggio Olimpico. «Difficile capire prima di iniziare cosa voglia dire fare da mangiare per 15mila persone», dichiarava Estelle Lamotte, direttrice del catering. Unica indicazione: porzioni minime, ufficialmente per ridurre lo spreco («Piuttosto faranno il bis», disse Lamotte, peccato che poi gli atleti debbano rifare la coda chilometrica), in realtà per paura che le risorse finiscano visto che una parte del ristorante è aperta 24 ore su 24. Sono mancate subito carne e latticini perché Sodexo pensava che l’opzione vegana (un terzo dell’offerta complessiva) fosse la più richiesta.

Udite udite: gli atleti mangiano proteine. La nuotatrice australiana Titmus, dopo aver vinto l’oro nei 400 stile, ha dichiarato che «vivere nel Villaggio Olimpico rende difficile competere». Non è la vasca a essere lenta, sono gli atleti stanchi e denutriti. Anche le bevande sono inefficienti: il caffè è solubile e le bibite energetiche diluite. Gli americani hanno spedito frullati proteici, carne secca, barrette energetiche e burro di arachidi. Gli inglesi hanno traslocato. La Cina ha «importato» in corsa alcuni dei suoi chef. L’Italia ha iniziato a dirottare quanti più atleti possibili all’hospitality house di Casa Italia dove dirige la cucina lo chef Davide Oldani. Il problema è che non ci stanno tutti. Latte (non diluito con acqua), carne e uova sono stati ordinati con urgenza dall’Italia e vengono riservati agli azzurri. A tutto questo si aggiungono i problemi logistici. Gli ascensori vanno in blocco. I pullman sono vecchi e affollati. Non si dorme anche perché ci si deve svegliare molto prima del previsto. Coco Gauff, portabandiera Usa, ha abbandonato il Villaggio perché «avevamo due bagni ogni 10 persone».

 

 

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