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Gianmarco Tamberi? Ecco chi lo detesta e perché: cosa non torna in questa storia

Claudio Savelli
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Gianmarco Tamberi sta sui maroni solo a chi non si prende la briga di conoscerlo. Un atteggiamento tipicamente italiano, piuttosto superficiale, opposto a quello profondo e interessato di Gimbo nello sport e nella vita, che poi per lui sono una cosa sola. Che strana dicotomia, questa. L’italiano medio è molto diverso rispetto all’italiano che lo rappresenterà agli ormai imminenti Giochi Olimpici di Parigi (venerdì 26 luglio, tra dieci giorni, la cerimonia di apertura): Tamberi, infatti, è uno dei due portabandiera azzurri assieme ad Arianna Errigo.

Gianmarco è diventato Gimbo perché se ne è sempre fregato di ciò che gli hanno detto i connazionali. Ovvero che era un pagliaccio, che in pedana bisognerebbe fare i seri, che certe scene non si devono fare, che i ruoli di saltatore e showman non possono convivere nella stessa persona, eccetera eccetera. È l’invidia che parla e Gimbo ha saputo chiudersi le orecchie e saltarci sopra, insegnando al suo Paese a prendersi un po’ meno sul serio. In fin dei conti lui è come la sua barba: un uomo diviso in due. In pedana è un atleta di massimo livello, nella vita è una persona normalissima.

 

Dentro uno stadio si veste da showman, nella vita ama farsi i fatti suoi. Suoi e di Chiara, sua moglie. Si sono sposati due anni fa dopo un’esistenza insieme e sono una di quelle coppie che ti fanno credere nell’amore. Rito civile a Pesaro, il sindaco Matteo Ricci ad officiare, la festa nella Villa Imperiale assieme a 200 invitati che sembrano tanti e invece per due così sono perfino pochi... ma buoni. Perché tutti, ma proprio tutti, vogliono bene a Gimbo. E il matrimonio, pur ricco di persone, è stato intimo: ecco, di nuovo, la doppia anima del saltatore azzurro.

L’IMPRESA PIÙ COMPLESSA
Se chiedi a Tamberi qual è l’impresa più complessa della sua vita, risponderà “ristrutturare casa”, giusto perché sposarsi con la donna che ami da sempre viene più facile. Hanno scelto una villa da sistemare ad Ancona, centro di gravità permanente per due marchigiani doc (Gimbo è peraltro diventato il nuovo testimonial del turismo nelle Marche) come loro. E se si pensa che per due personaggi noti come loro non ci siano i problemi che abbiamo tutti, ci si sbaglia. «Perché dobbiamo parlare di questo? - ha risposto Tamberi a un cronista che gli chiedeva conto della ristrutturazione, subito dopo l’oro europeo vinto a Roma -.

Purtroppo abbiamo avuto moltissimi problemi con l’impresa precedente che ci stava facendo i lavori, ci ha portato a situazioni difficili da affrontare a livello mentale. Chi ci è passato lo sa. Se trovi delle persone che vogliono metterti in difficoltà ci riescono. Tempra per le gare? No, ti fa incazzare e basta». Lo dice mettendosi le mani nei capelli e sorridendo. L’idea era entrare nella nuova casa prima dei giochi di Parigi, invece il trasloco si farà dopo. Magari con una medaglia in più da mettere negli scatoloni.

 

Anche la vicenda della casa è finita sui social personali di Gimbo e Chiara, che si comunicano in modo genuino, senza sovrastrutture da influencer, svelando sia la buona sia la cattiva sorte. Qualsiasi supereroe ha le sue fragilità, paure, ansie da uomo comune. Per Tamberi l’ultima è stata il fastidio al bicipite femorale percepito in allenamento perché Parigi è dietro l’angolo e di Olimpiade ne ha già saltata una, nel 2016 a Rio, per una infame rottura del legamento della caviglia. Storia nota: nel meeting di Montecarlo appena precedente a quei Giochi, Gimbo provò un salto in più a 2.41, spinto dal record italiano (2.39) appena conquistato: lui non salta perché la scarpa inspiegabilmente cede, il legamento sì. Gimbo si opera una prima volta e una seconda a un osso che gli dava fastidio, ricomincia ad allenarsi e si fa trovare pronto per Tokyo, dove conquista l’oro pochi secondi prima di Jacobs, dividendolo con l’amico Barshim in una scena che rimarrà per sempre nella storia dello sport italiano. Tu chiamalo, se vuoi, destino.

ZERO TEST
Ora Gianmarco esorcizza le paure condividendole con i fan: «Non sono in pericolo le Olimpiadi ma tutte le gare di avvicinamento sì», ha scritto pochi giorni fa. Dunque arriverà a Parigi senza testarsi. Non che sia un male, per uno come lui è una motivazione in più, una spinta necessaria per un’impresa mai riuscita a nessun saltatore ovvero conquistare due ori di fila ai Giochi. Quindi il 10 agosto alle 19.10, data e ora della finale del salto, saremo tutti Gimbo: astenersi perditempo. Nel frattempo Tamberi non starà sul divano per evitare di peggiorare la situazione ma si allenerà come può. Non può farne a meno, è uno di quegli atleti maniacali che coltivano il dono che hanno ricevuto ogni giorno. Solo a Natale, dice lui, evita di allenarsi ma «solo perché è una tradizione».

Dopo Parigi potrebbe trasformare l’eccezione nella regola. L’idea, infatti, è smettere per fare il papà. Non perché voglia riparare al rapporto burrascoso con il suo («Non ci parliamo da quando non è più il mio coach», cioè dall’ottobre 2022. «Non andavamo d’accordo da decenni, per questo riallacciare non è facile») ma perché una volta che salti più in alto di tutti, vedi cosa c’è oltre. Oltre c’è la vita. Tutta un’altra vita.

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