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Euro 2024, Southgate alla Bearzot: massacrato per niente

Claudio Savelli
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A Gareth Southgate, anni 53 di cui 12 passati ad allenare per la federazione inglese, ne hanno dette di tutti i colori. In ordine: incapace di allenare e pure di selezionare, fissato sui suoi uomini, freddo con i giocatori, doppiogiochista, raccomandato. È vero, Southgate si è ritrovato nel posto giusto al momento giusto ma poi la panchina bisogna conservarla con i risultati sul campo, e due finali europee consecutive (oltre a una semifinale e un quarto di finale ai Mondiali) sono di certo un risultato per una Nazionale abituata a collezionare fallimenti. Southgate è fortunato nel 2016. La Federazione inglese ha bisogno di un nuovo allenatore dopo il fallimento della gestione Hodgson, uscito ai gironi sia ai Mondiali 2014 sia agli Europei di quell’anno, e lui è già sotto contratto da tre stagioni come ct dell’Under 21.

Su spinta popolare serve un britannico (l’esperimento-Capello scottava ancora) possibilmente giovane, in rottura con l’idea del ct come il più navigato dei tecnici a disposizione. In più, Southgate conosce la nidiata di talenti in rampa di lancio che la Federazione sa di avere tra le mani. È perfetto e viene incaricato. Prima di riciclarsi in federazione, il buon Gareth aveva allenato il Middlesbrough per tre stagioni e spiccioli. Un 12esimo posto, un 13esimo, una retrocessione, 13 partite in seconda divisione, un esonero. Anche da giocatore non era mai andato oltre la soglia della “normalità”, tra Crystal Palace, Aston Villa e lo stesso Middlesbrough.

 

 

Un onesto mestierante, per questo non è mai piaciuto ai connazionali. Ma questa dimensione di basso profilo rispetto alle ambizioni, a volte ingiustificate, degli inglesi fissati con il football che deve tornare a casa è diventata la sua forza. Solo uno come Southgate poteva incassare senza dare di matto e sistemare di volta in volta la Nazionale senza ascoltare le richieste di un Paese di ct, in questo molto simile al nostro. Ecco, in Italia ci siamo dimenticati del valore di una figura federale che non ha mai raggiunto il successo nella carriera precedente.

Vedi Spalletti che arriva in Nazionale con la sacrosanta ma dannosa presunzione del campione d’Italia in carica e con l’idea di fare l’allenatore anziché il ct, che è tutto un altro mestiere. Il fatto che nella finale di domenica Southgate affronti De La Fuente, altro uomo federale, ci suggerisce un ripensamento del nostro modello: perché non produciamo più i nostri Southgate, i nostri De La Fuente, i nostri Bearzot? Il Vecio guidò per sei anni l’Under 23 prima di diventare ct e non ebbe una carriera gloriosissima da calciatore. Vinse il Mondiale 1982 tra le critiche, un po’ come il Southgate di oggi, e rimase in Nazionale undici anni, gli stessi a cui arriverà l’inglese ai Mondiali 2026 che si è guadagnato con questa finale facendo... il ct.

Ovvero garantendo la titolarità a Saka, Bellingham, Foden e Kane anche se la nazione sponsorizza Palmer e aggiustando il tiro man mano (fuori Alexander-Arnold e dentro Mainoo, dal 4-2-3-1 al 3-4-2-1). È così che un ct si ingrazia la fortuna: dentro Palmer e Watkins (cambi che tra l’altro Di Gennaro sulla Rai ha criticato, salvo poi chiedere scusa) e questi confezionano il gol all’Olanda che vale la finale e forse, chissà, un cambio di versione del popolo inglese. Dalla richiesta di esonero al salto sul carro del vincitore è un attimo, è un trofeo che manca dal Mondiale 1966, da 58 anni.

 

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