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Euro 2024, il ruolo di Gigio Donnarumma nel cerchio magico di Spalletti

Claudio Savelli
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Fa bene Luciano Spalletti ad arrabbiarsi quando gli viene chiesto se parla con i senatori. Ovvio che sì. Sarebbe un problema se non lo facesse: vorrebbe dire avere contro i leader di una squadra, e sappiamo tutti come è andata a finire in passato quando è successo. Ben venga il dialogo soprattutto se il comitato di leader è affidabile. E lo è. Trattasi di Donnarumma, Barella, Jorginho, ovvero i tre capitani con più presenze, più Di Lorenzo, il suo uomo e capitano del suo Napoli campione d’Italia, e Darmian, il più vecchio della comitiva. Va notata una cosa di questi cinque giocatori che compongono la tavola rotonda attorno al ct: sono tutti leader piuttosto silenziosi, personalità vere e genuine ma non esuberanti. Difficilmente uno di questi, anche in un mondo ostile quale non è l’Italia attuale, volterebbe le spalle a un allenatore.

Il bello del gruppo di leader dell’Italia è che copre tutto ciò che serve: va dai 25 anni di Donnarumma ai 34 di Darmian, passando per i 27 di Barella, i 30 di Di Lorenzo e i 32 di Jorginho. Rappresenta tutte le generazioni capaci di leadership, almeno in Italia dove gli under 23 faticano a imporsi in campo, figuriamoci in uno spogliatoio. E sono anche di estrazione professionale diversa e complementare: c’è il giovane prodigio che è andato all’estero, il leader italiano in una big italiana, il terzino venuto su dalle categorie inferiori, l’oriundo che ha conquistato la Nazionale con fatica e il giramondo escluso dal grande calcio e poi rientrato per meriti sportivi. Avercene, di gruppetti così.

 

 

In passato ci sono state le fazioni, i blocchi di interisti e di juventini e di milanisti che si facevano una guerriglia interna, i cosiddetti clan: ecco, non è più così. L’Italia ha un nucleo di senatori ma sta bene insieme perché Spalletti è stato capace di chiarire la leadership interna prima di cominciare l’Europeo. Patti chiari, amicizie lunghe: nessuno si sente escluso. Infatti pure chi non gioca finora non invia segnali di fastidio, vedi El Shaarawy e Mancini che ieri sono stati mandati a parlare e hanno confezionato parole di fiducia e pronta competizione. Non c’è nessun segreto dentro l’Italia. L’obiettivo semmai è che ce ne siano tra l’Italia e il resto del mondo perché ogni indicazione che fuoriesce dal ritiro è considerata un vantaggio competitivo. Il ct parla con i leader degli stessi argomenti che poi condivide con tutto il gruppo. Non rimane nulla nel cerchio della fiducia, semmai quello è un tavolo ridotto perché le idee circolano più facilmente quando si è in pochi. Poi vengono esposte e discusse con l’intera squadra, sempre mantenendo una distanza chiara e netta perché poi, chi decide, è sempre Spalletti. Come deve essere. Non è vero, quindi, che il ct ha fatto l’ultima formazione su richiesta dei leader. E non è vero che Spalletti sospetta sia stato un giocatore a spifferala ai cronisti. Quel qualcuno, semmai, è da intendersi come un componente del larghissimo contingente azzurro a Iserlohn che ruota attorno al gruppo squadra, allenatori e dirigenti. Che poi i soliti sospetti non fanno nemmeno male: mettono alla prova il cuore dell’Italia composto da quei cinque «di cui ci si può fidare», ci si deve fidare.

 

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