Don Gabbricci, il cappellano azzurro: "Tanta fede in questa Italia"
A Siena, don Massimiliano Gabbricci lo chiamano “don Cappotto” e fra tutti i soprannomi ce ne sono pochi di più lusinghieri. Il motivo è semplice: cappellano (anzi, correttore) della contrada della Lupa, è stato lui nel 2016 a impartire la benedizione prima del Palio al fantino Scompiglio e alla cavalla Preziosa Penelope, accoppiata che a luglio e agosto ha sbancato Piazza del Campo. Se poi aggiungiamo che nel 2018 la Lupa ha vinto ancora a agosto (con Gingillo e Porto Alabe) e che anche l’Italia regina d’Europa nel 2021 è passata sotto la sua benedizione, in quanto cappellano azzurro, vien da dire che a Coverciano si aggira un talismano in tonaca.
“Domma”, come lo chiamano i calciatori, lei è un portafortuna?
«Non esageriamo. Pensate che nel 2002 dopo la mia prima benedizione nella Lupa poi vinse la nostra rivale, l’Istrice... Il trionfo azzurro del 2021 è stato il culmine di un percorso faticoso, ricordo i tanti tamponi Covid per stare con i ragazzi a Coverciano, quelle cene dove nell’aria si percepiva un senso di magico, di comunità». Vuol dire che lei sapeva che l’Italia avrebbe vinto l’Europeo?
«C’era fin dall’inizio un’aria particolare. Con il Mancio che sento spesso, con Gianluca Vialli e Lele Oriali, ce ne siamo resi conto subito e prova ne sono i tanti messaggi che ci siamo scambiati. Un momento pazzesco è stato la sera prima della partenza per la finale di Wembley. Il 9 luglio era il compleanno di Vialli, abbiamo festeggiato con la torta, la foto di gruppo e poi il suo discorso indimenticabile. Appena Luca finì, mentre ancora continuavano gli applausi, Donnarumma, Bonucci e Chiellini vennero da me e Gigio mi chiese: “Domma, allora?”. “Si vince”, risposi. E mi abbracciarono».
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Quanto ha pesato Vialli in quel successo?
«Parecchio. Non abbiamo mai parlato della sua malattia, aveva grande vitalità e grande forza pur riconoscendo le sue debolezze. Sul piano della fede ha insegnato tanto anche a me. Aveva un’umanità profonda come Davide Astori, che ho avuto alla Fiorentina, un altro ragazzo la cui scomparsa ha lasciato un segno. Loro non sono una mancanza, ma una presenza, un esempio che riempie».
Lei come arriva al calcio?
«Credo molto nello sport, tifo da sempre Fiorentina. Una volta Buffon mi chiese di pregare per lui prima di una partita e io gli dissi “Sì, ma la prossima...”: c’era Fiorentina-Juve... si vinse 4-2, poker di Pepito Rossi. Da ragazzo ho giocato a calcio in porta in squadre dilettantistiche, amo anche il basket, la Nba e i Lakers. Figurarsi ora che sono Direttore del Ricreatorio Pio II, al Costone, a Siena: proprio con il Costone abbiamo appena sconfitto nel derby la Mens Sana, nella finale per la promozione in serie B».
E in Nazionale?
«Mi ha voluto Cesare Prandelli, nel 2012, lo avevo conosciuto alla Fiorentina. Un ct di grande spessore, come lo è stato Antonio Conte, un altro che non sa nascondere né la fede né il suo essere: a Napoli farà bene».
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Chi è Spalletti?
«Siamo quasi compaesani, lui di Certaldo, io di Castelfiorentino seppure senese e lupaiolo da parte di nonno. Luciano lo conosco da quando aveva i capelli, abbiamo amici comuni: è un uomo che ha profondità, sta costruendo un grande gruppo, i ragazzi hanno consapevolezza delle sue capacità tecniche e umane».
Lei che rapporto ha coi calciatori?
«Scherziamo molto, non mancano mai le battute. Sono tanti i ragazzi che vivono il cristianesimo intensamente, non farò nomi, ma la partecipazione alle messe è robusta. Naturalmente c’è anche chi non viene, ma non ci sono costrizioni. Sono abituato a questo, alla Fiorentina ho avuto tanti cristiani ortodossi come Mutu, Tomovic, Savic. E anche musulmani, con qualcuno ci siamo confrontati spesso».
Don, quando qualcuno bestemmia cosa succede?
«Finora non è mai capitato ma se hanno bisogno sono a disposizione. Su questo c’è grande responsabilità, i giocatori sanno che devono essere un esempio positivo».
C’è un calciatore che vorrebbe sempre in Nazionale?
«Sono due. Ho visto Antognoni, Platini, Maradona, Van Basten, Ronaldo, Batistuta ma come Roberto Baggio... davvero Divin codino».
E l’altro?
«Andrea Pirlo, tecnicamente l’ultimo grande centrocampista italiano. Pensateli in azzurro insieme come li inventò Mazzone a Brescia...».
Questo purtroppo è un passato meraviglioso, ma il futuro? Che succederà all’Europeo?
«Secondo i media inglesi non andremo oltre ai quarti, ma è evidente che rosicano ancora. Sono i favoriti, ma noi abbiamo insegnato loro che bisogna saper vincere: ricordate con l’Austria, tre anni fa? L’Italia ha grandi margini di crescita, farebbe comodo gente come Chiellini e Barzagli (del quale ha celebrato il matrimonio, ndr) ma sono convinto che se passiamo il girone può succedere di tutto. Mi auguro di poter andare a vedere almeno i quarti in Germania, ma prima c’è il Palio del 2 luglio da vincere...».